Terni, San Valentino e ‘i panni della festa’

Terni, la sollevazione popolare è un segnale alle stanze dei bottoni e a chi le occupa, a Terni e non solo. Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

Quando, alla metà del 1600, il Papa sollecitò Terni a scegliersi il santo protettore, ci fu chi voleva Sant’Anastasio. Anastasio era un prete siriano, dal fisico possente, inviato dalla curia di Roma a fare il vescovo a Terni (nell’anno 606) perché mettesse un freno ai ternani i cui comportamenti – si riteneva in San Pietro – non apparivano da timorati di Dio.

Per Sant’Anastasio si pronunciarono le gerarchie ecclesiastiche più alte, i signorotti e quella borghesia che ambiva a compiere il saltino, salendo a far parte dell’aristocrazia cittadina. San Valentino, invece, era il santo scelto dal popolo, dai poveri, dai cittadini di basso ceto. La battaglia fu aspra tanto che molte volte si sfiorò lo scontro fisico. Alla fine la faccenda fu messa nelle mani del papa: decida lui. E il papa, Urbano VIII, decise per San Valentino, il santo scelto dalla gente comune.

Santo popolare, quindi. Patrono voluto dal popolo ternano che lo ha sempre considerato intimamente suo. Non di altri, non delle gerarchie, non della curia. Della gente, dei fedeli, anche quelli che alle funzioni religiose si avicinano solo quando è obbligo e decenza. Per tutti San Valentino è San Valentino. Un sentimento atavico che determina il rizzarsi degli aculei quando qualcuno dimentica o non considera questo rappporto stretto, personale, viscerale.

A quel punto emerge con forza il carattere dei ternani, accomodanti in linea generale ma pronti a diventare muro quando c’è da difendere l’identità e la dignità collettive. Il santo è loro e loro devono decidere, respingendo eventuali impposizioni.

Quel che è avvenuto in basilica, coi fedeli che hanno impedito la traslazione delle reliquie di San Valentino in duomo, è significativo: è un no alle imposizioni, da qualcunque parte vengano; è la capacità di coagularsi a difesa del bene comune, materiale o immanente che sia; è l’offerta di una disponbiilità a mettere a disposizione della collettività la fermezza, la testardaggine persino, ma al patto che se ne discuta, si sia coinvolti, appaia a tutti chiaro lo scopo e il fine delle decisioni che non possono essere accettate solo perché vengono da qualcuno seduto su una sedia coi braccioli. In qualsiasi palazzo questa sedia sia collocata.

E’ un segnale alle stanze dei bottoni e a chi le occupa, a Terni e non solo. Per ora la spiegazione è stata chiara soprattutto per il vescovo. Col muso duro, con le ripicche o le ritorsioni non si va lontano se i ternani decidono di “indossare i panni della festa”.

Benvenuto a Terni, Eccellenza.

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