Giacomo Bartollini, il 29enne ternano che il 13 settembre del 2015 aveva sparato con una pistola Beretta calibro 7,65 dal terrazzo della propria abitazione in strada del Ponticello, nel quartiere di Gabelletta, ferendo gravemente il 46enne Alessandro Rossi che abitava in via Omega, ad un centinaio di metri di distanza, e stava guardando la televisione in salotto, voleva ‘solo’ provare l’arma e non aveva realizzato né immaginato i possibili effetti del suo gesto.
Le prime due sentenze
Gesto che gli era costato l’arresto in flagrante da parte dei carabinieri del nucleo investigativo di Terni e quindi una condanna a quattro anni di reclusione, nel luglio del 2017, da parte del gup del tribunale di Terni. Condanna che nel marzo del 2018 la corte d’appello di Perugia ha ritenuto di attenuare, non rilevando l’elemento soggettivo del reato, tanto che il giudizio di secondo grado, oltre a riqualificare le lesioni personali da dolose a colpose con ‘non luogo a procedere’ per difetto di querela e ‘sconto’ da 4 anni a e 3 anni e 5 mesi di reclusione, aveva portato alla revoca totale dei risarcimenti fissati dal giudice di prima istanza: 50 mila euro in favore dell’uomo colpito dal proiettile, e costretto ad un intervento chirurgico urgente, e 25 mila euro alla compagna che si trovava con lui nell’abitazione.
Sentenza passata in giudicato
Un punto di vista che recentemente la Suprema corte di cassazione ha condiviso, confermando quanto deciso in appello – una lettura sostanzialmente più ‘mite’ nei confronti di Bartollini – con l’annullamento delle provvisionali. Tanto che il ternano ferito all’emitorace sinistro e la compagna, assistiti dall’avvocato Enrico De Luca che aveva presentato ricorso per Cassazione, dovranno procedere ad una separata causa civile nei confronti del 29enne ternano per vedersi riconosciuta una qualche somma. Per Bartollini, quindi, la condanna a tre anni e cinque mesi di reclusione per detenzione di arma da fuoco e ricettazione di quest’ultima – di provenienza furtiva -, è diventata definitiva. Il giovane, difeso dall’avvocato Francesca Abbati, è sempre stato ritenuto – dai giudici – capace di intendere e di volere. Ma l’assenza dell’elemento soggettivo del reato ha condotto ad una rivisitazione del giudizio di primo grado, attenuato dai giudici dell’appello («l’accettazione del rischio deve avere ad oggetto non già la situazione di pericolo determinata con il proprio comportamento ma l’evento tipico del reato») e ora definitivo alla luce della decisione della Cassazione.