Terni: spifferò al figlio l’indagine sulla droga. Ex carabiniere dovrà risarcire l’Arma

La Corte dei Conti dell’Umbria ha condannato l’uomo – 59 anni – a versare 5.593 euro per ‘danno da disservizio’

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5.593 euro: questa la cifra che un ex carabiniere 59enne, residente in Valnerina, dovrà liquidare all’Arma per danno da disservizio. A deciderlo è stata la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti dell’Umbria, presieduta da Piero Carlo Floreani e composta dai giudici Rosalba Di Giulio e Pasquale Fava.

L’arresto

Nel 2014 il militare, al tempo operativo presso il comando stazione dei carabinieri di Ferentillo, era stato arrestato nell’ambito di un’indagine antidroga della procura di Terni, incentrata sui comuni della Valnerina ternana, con l’accusa di ‘rivelazione di segreto d’ufficio’. In sostanza per gli inquirenti il carabiniere aveva informato il figlio dell’inchiesta in corso anche sul suo conto, con l’obiettivo di proteggerlo da un eventuale arresto. Contestazione che, corredata da intercettazioni telefoniche e ambientali, nel 2020 gli era costata una condanna a sei mesi di reclusione – pena sospesa – nell’ambito del processo scaturito da quella indagine.

I motivi

Dopo quella penale, ora anche la giustizia contabile ha fatto il suo corso, con la richiesta di un risarcimento dell’ipotetico danno causato all’Arma dei carabinieri con la condotta tenuta. Da qui la decisione della Corte dei Conti dell’Umbria, secondo la quale il convenuto, parlando con il figlio, «non si è limitato ad impartirgli delle mere raccomandazioni paterne, ma ha costantemente fornito specifiche informazioni (estese persino al tipo di veicolo utilizzato dagli inquirenti in borghese per i controlli), finalizzate a consentirgli di eludere l’attività investigativa intrapresa a suo carico dai carabinieri della stazione di Arrone. Tanto che il figlio aveva ridotto l’attività di spaccio ed evitato di utilizzare, per la medesima, il telefono cellulare per fissare gli appuntamenti con gli acquirenti della droga». Per i giudici in sostanza, «la condotta del carabiniere è stata reiterata nel tempo e, dal tenore dei dialoghi intercettati, è stata caratterizzata da pervicace dolo, dovendo egli ben conoscere, per il ruolo e le funzioni svolte, i doveri di ufficio di riservatezza su di lui gravanti e dunque avendoli violati consapevolmente». Da qui la decisione e ora per il 59enne la prospettiva, salvo diverse determinazioni, è quella del giudizio d’appello.

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