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Home » Pronto soccorso Terni: Parisi e l’allegoria del ‘bar’ per spiegare tutto

Pronto soccorso Terni: Parisi e l’allegoria del ‘bar’ per spiegare tutto

di Fabio Toni
26 Luglio 2022
in Ambiente e salute, Apertura 5, Opinioni
Tempo di lettura: 4 minuti di lettura
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Pubblichiamo l’intervento del direttore del pronto soccorso e accettazione dell’ospedale ‘Santa Maria’ di Terni, Giorgio Parisi, che lo stesso ha diffuso in un post di replica al dibattito scaturito dall’articolo sulla visita del direttore regionale della sanità, Massimo D’Angelo, presso l’azienda ospedaliera di Terni.


di Giorgio Parisi
Direttore del pronto soccorso dell’ospedale ‘Santa Maria’ di Terni

Forse un esempio riesce meglio a far comprendere alcune cose a tutte le persone, ai giornali, agli amici, ai detrattori, ai genitori, ai nipoti, ai figli, ai gruppi etc. Immaginate per un momento che nella vostra città tutti i bar, piccoli e grandi, siano statali e che la stragrande delle consumazioni siano gratuite. Il personale è stipendiato dallo Stato. I bar sono tutti funzionanti, di base preparano caffè, cappuccini, vendono paste poi qualcuno prepara cocktail particolari, preparano i pasti e via discorrendo. È ovvio che ogni quartiere ha uno o due bar. Attenzione, ogni bar non può superare il numero dei dipendenti salvo rarissime eccezioni. Con il trascorrere del tempo alcuni bar chiudono ed i baristi sono sempre meno, cioè vorrebbero diventarlo ma non hanno accesso alle scuole di formazione. La gente si sposta verso quelli aperti. La domenica cominciano le code per avere un cappuccino e portare a casa le paste.

Giorgio Parisi

Trascorre altro tempo ed i bar statali diventano sempre di meno. La gente comincia a scrivere sui giornali che non è ammissibile che si aspettino tante ore per un caffè, che il caffè è arrivato freddo, che non ci sia stato qualcuno che abbia avvertito che per avere un caffè o altro avrebbe dovuto aspettare tante ore. Il personale dei bar rimasti aperti e quelli che vorrebbero lavorarci, assaliti dalle aggressioni e dalle proteste, comincia a decidere di non voler più lavorare in quei luoghi. Preferisce un chiosco aperto ad orario prestabilito dove l’aria che si respira è più pulita e dove le responsabilità sono ridotte al minimo anzi, se chiude poco smuove. Intanto passa del tempo ed in quell’area ne rimane aperto uno solo h24.

Adesso attenzione: il direttore del bar e tutto il suo staff, prevedendo questo, cominciano ad elaborare e condividere una marea di percorsi alternativi ed aggiornati costantemente per soddisfare le esigenze di tutta la popolazione di tutti i quartieri (percorso cornetti, percorso tramezzini etc.). Ma il poco incremento di personale, le malattie, le ferie dovute, le esenzioni… non riescono a far fronte alle richieste simultanee di tanta gente che poco sa di quello che sta succedendo. Il direttore del bar non ha nessuno scrupolo anche a far trasferire chi si comporta in modo non adeguato. Qualche paziente, anzi parecchi, arrivano ‘infetti’ per cui il bar deve per forza separare due tipi di popolazione. I carichi aumentano a dismisura e nonostante tutto bisogna dare prima di tutto priorità a chi arriva morto di sete e di fame.

Intanto una organizzazione di navette trasporta in quell’unico bar aperto h24 parecchi pazienti ‘vecchi’, sì perché quella città ha una rappresentanza di persone anziane tra le più alte d’Italia e che vivono sole. Questi pazienti non sanno dirti esattamente di cosa hanno bisogno anche perché i nutrizionisti dei quartieri, sia perché sono sempre di meno sia perché con gli strumenti che hanno a disposizione non ce la fanno o non riescono a filtrare le esigenze di tutta la loro popolazione, raramente riescono ad indirizzare i pazienti con un’esatta lettera di presentazione. Anche perché la popolazione dei quartieri ed i loro familiari, sbagliando, molto spesso ritengono non opportuno avvertirli. Intanto le proteste nei confronti di quel bar aumentano, le offese aumentano, le aggressioni aumentano ed il personale comincia a dire che non è stanco ma frustrato, soprattutto dal fatto che non era previsto che dovesse vicariare tutti gli altri bar e soprattutto frustrato dal fatto di non accorgersi che qualcuno avesse fatto un ordine molte ore prima ma non era stato completamente evaso.

Quel bar, costruito tanti anni fa, è composto da molte sedie e poltrone per cui qualcuno aspetta e viene servito comodo, qualcuno un po’ più scomodo. Non era progettato per far stazionare le persone per un tempo straordinariamente lungo; in genere al bar si fa una consumazione poi si va da qualche altra parte. Gli spazi sono anche angusti. Spesso l’affluenza è talmente elevata che le navette devono aspettare per ‘scaricare’ il cliente. Di fatto il personale si spacca in quattro, possibilità prossima allo zero che altri dipendenti di altri bar possano venire a ‘servire’, il direttore del bar si rimette in gioco, entra nella mischia insieme a tutti gli altri, sale anche in autoambulanza per accompagnare i clienti a casa a costo di non far allontanare un barista infermiere che, insieme al barista medico, rappresentano ormai merce più che preziosa.

Le proteste salgono progressivamente: ormai i dipendenti di quel bar sono diventati solo delinquenti e devono essere mandati tutti via. La pressione sale, non c’è giorno che non si vada sul giornale per i disservizi. Tutto addosso a quell’unico bar aperto h24 che intanto riceve protocolli di aggiornamento, giusti o meno, che lo obbligano anche a preparare non solo tutto quello detto sopra ma anche la porchetta ripiena con le patate ed il brasato (ci vuole molto tempo e materiale).

Tre ultime considerazioni: nessuno si è mai chiesto, nonostante tutto, quanta gente morta di fame e di sete abbia avuto la vita salva in quel bar, quanta gente che ha aspettato è stata poi dimessa con una serie di accertamenti gratuiti che nemmeno nella migliore clinica avrebbero fatto, quanta gente che si è allontanata è poi morta (zero). Certo, quei baristi sono esseri umani e sono suscettibili di errore ma quanti politraumi sono usciti stabilizzati dalla sala più importante di quel bar, quanti infarti in arresto sono stati salvati, quante dissecazioni dell’aorta sono state scoperte, quanti ictus sono stati gestiti, a quanta gente abbiamo dato ‘asilo’, quanto aiuto ha dato quel bar alle donne ed ai bambini vittima di violenza, quanto è stato progettato per il disagio giovanile, quanto è stato ricevuto (botte) da pazienti violenti e/o psichiatrici.

Una volta in questo bar veniva chiesto: mi salverò? Ho qualcosa di grave? Sai diagnosticare questo mio problema? Oggi al bar viene chiesto: quanto ci metto? Rispondo che visto che la diagnosi non è scritta sulla fronte, è ragionevole pensare che si possa stazionare anche a lungo in osservazione. Ultima considerazione: non maltrattate più questo bar, è l’unico rimasto aperto h24, è preferibile confrontarsi. Non possiamo mandare via nessuno. Come in moltissimi altri pronto soccorso italiani, in queste condizioni quei pochi baristi che sono rimasti se ne vogliono andare. I giovani non vogliono più lavorarci. Guardate che il pronto soccorso non è per tutti, non è una passeggiatina. Se chiude sono veramente dolori. Per chi come me ci ha fatto un progetto di vita, è veramente doloroso scrivere queste cose. Chiedo formalmente scusa a chi lavora nei bar veramente.


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