Treofan: «Ecco com’è andata. Ora nuova fase: lottare insieme»

Sergio Cardinali ricostruisce dal punto di vista della Filctem Cgil la complessa vertenza sfociata in un accordo unitario

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di Sergio Cardinali
Segretario nazionale Filctem Cgil

Se fossimo stati tutti compatti fino alla fine oggi avremmo un risultato migliore? Forse sì. Se avessimo iniziato prima la lotta? Forse sì. Detto ciò, c’è la realtà dei fatti: quali?

  1. Jindal fin dal principio ha acquisito la Treofan per chiuderla.
  2. Ad agosto 2020 abbiamo tentato un accordo per verificare se vi fosso la possibilità di farla ripartire. Tentativo vano.
  3. A novembre 2020 Jindal ha comunicato la messa in liquidazione della Treofan, dichiarando l’indisponibilità a richiedere la cassa integrazione e di andare verso i licenziamenti.
  4. Nel frattempo sono partite denunce ed indagini che si sono sommate alle iniziative fatte dal Mise. Come organizzazioni sindacali abbiamo costruito un dossier attraverso i nostri uffici legali e inviato ben due diffide legali all’azienda.
  5. A questo punto gli indiani hanno tentennato ed hanno annunciato la loro disponibilità ad un accordo che chiudesse la procedura di licenziamento collettivo attraverso la concessione di una cassa integrazione guadagni straordinaria per chiusura.
  6. Iniziano le trattative, difficili, con un liquidatore senza deleghe, un pool di avvocati, un indiano-europeo e l’ad austriaco. E non solo: Mr Jindal che da Dubai ha l’ultima parola e boccia sempre tutto.
  7. Una trattativa che si protrae per mesi sempre più difficile e complessa. Ogni riunione seguita da un comunicato compatto delle organizzazioni sindacali he dicono avanti a schiena dritta tutti insieme, fino alla fine.
  8. Nel mezzo della trattativa, spunta un acquirente, una cooperativa che vuole parlare con i lavoratori per rilevare lo stabilimento e fare produzioni anche in accordo con Jindal. ‘Consiglio vivamente il soggetto di stare fuori fino a quando abbiamo finito la trattativa, rischia di comprometterne il risultato’. Inascoltato, lui va avanti: contatta alcuni quadri, parla in assemblea con i lavoratori e presenta una manifestazione di interesse e a quel punto i macchinari diventano l’elemento determinante per i lavoratori e il ‘mostro’ per Jindal che non vuole rischi di concorrenza.
  9. Jindal diventa sempre più chiuso a riccio sui macchinari e la concorrenza. Noi altrettanto, al contrario, nei comunicati e nelle riunioni.

Il 17 febbraio l’ennesimo comunicato unitario recita ‘compatti fino alla fine’. 19 febbraio ultima riunione al ministero… così sapevamo. Proposta dell’azienda è ‘prendere o lasciare’. Una proposta inaccettabile: una fase striminzita sulla reindustrializzazione che deciderà Jindal con un advisor senza nessun altro; una malleva del 90% sulla validità dell’accordo per la cassa e se 120 lavoratori non firmano il verbale di conciliazione, non vale l’accordo; infine sui macchinari, dopo varie versioni, si arriva a dire che le organizzazioni sindacali non si opporranno al prelevamento dei macchinari. Poi in un’assemblea ‘impazzita’ si vota non si sa cosa… ma non eravamo tutti compatti? No, basta, è finita. I lavoratori votano che si firmi, ma cosa? Jindal deciderà tutto da sola e senza il sindacato. Un delirio: 79 a 33.

Si torna sul tavolo e la Cgil non firma. L’azienda toglie allora la malleva, ovvero non serve più che 120 lavoratori vadano a firmare la conciliazione per avere la Cigs. Quindi ora firmate ? La Cgil dice ancora no. Ancora ci sono due punti assolutamente inaccettabili: la reindustrializzazione in autonomia e quindi falsa e la rinuncia all’azione sindacale per portare via i macchinari. La Cgil non firma, ancora ‘no’.

A questo punto è il ministero del Lavoro a proporre all’azienda, reputando le due organizzazioni sindacali maggioritarie, a chiedere alle altre organizzazioni se firmerebbero anche senza la Cgil e la Ugl. Affermano che firmano ugualmente. Allora il ministero chiede all’azienda se è disposta a firmare quel testo di accordo con due sole organizzazioni sindacali. Gli avvocati prendono tempo e si consultano con la proprietà e rifiutano di firmare. Il ministero, per evitare il mancato accordo, chiede a tutti di continuare a trattare e rinvia al 25 febbraio.

A questo punto ricordo a tutti che stiamo trattando un accordo di cassa integrazione per chiusura, per posticipare il licenziamento dei lavoratori alla fine della cassa, ovvero 12 mesi. Dobbiamo essere tutti consapevoli di questo, non siamo più nella fase in cui tutti insieme puntiamo al mancato accordo, perché la maggioranza dei lavoratori vuole un accordo che porterà inevitabilmente al licenziamento tra 12 mesi. E l’azienda, che non vuole un mancato accordo che aprirebbe a 138 cause individuali, fiuta la ghiotta opportunità: finalmente ha spaccato il fronte sindacale e i lavoratori.

 

La FIilctem si compatta con i propri iscritti ma sono minoritari. Esce un nostro comunicato in cui si esplicitano i punti deboli per cui non firmeremo mai un accordo come quello: reindustrializzazione fasulla; rinuncia all’attività sindacale sui macchinari; frase sulla rappresentanza maggioritaria; c’è anche un quarto punto che dice che 7 mensilità sono poche e ce ne vorrebbero 10, ma non è fondamentale.

Passano il sabato e la domenica senza che l’azienda convochi nessuna riunione, mentre su Facebook, Messenger e Whatsapp impazzano messaggi delle due fazioni di lavoratori. Chi sostiene la linea della Cgil (con la Cgil fino alla fine, andiamo fino in fondo, non mollate etc.) e chi la taccia di tradimento del voto, del mancato rispetto, chi la accusa di avere la responsabilità dell’eventuale mancato accordo: insomma oramai è come tra Guelfi e Ghibellini. Lunedì 22 febbraio nulla di nuovo: appaiono post che dicono che i macchinari sono obsoleti, non servono a nulla e bisogna firmare… Ma come, i macchinari non erano il cuore pulsante della vertenza? Non più, non per i più: prendiamoci la cassa! E la cooperativa? Scomparsa. L’azienda festeggia la divisione dei lavoratori.

Martedì 23 febbraio, nulla. Mercoledì 24 il ministero scrive per sapere novità sull’andamento delle trattative. Rispondo: nessuna trattativa. A questo punto si registra l’intervento della politica umbra bipartisan sui ministri Orlando (Lavoro) e Giorgetti (Mise). La Cgil nazionale interviene sul ministero del Lavoro Concordiamo una riunione Filctem, Femca e Uiltec per la mattina del 25 febbraio, prima dell’incontro con l’azienda. A quel punto ci ricompattiamo per modificare il testo e firmare tutti: oramai non è più in discussione il mancato accordo ma se firmare tutti o firmare separati. È chiaro che anche l’azienda oramai è pronta a firmare con chi ci sta.

Inizia la trattativa presidiata dal dg del ministero, un segnale. Dalle ore 10 del mattino, arriva l’accordo alle 20 di sera. Accordo che prevede una frase sulla reindustrializzazione che vede la regia del Mise ed i progetti che l’advisor di Jindal dovrà portare al tavolo, saranno condivisi con organizzazioni sindacali e istituzioni. Una modifica richiesta è andata! E i macchinari? I macchinari sono di proprietà dell’azienda che ne ha il pieno possesso e lo esercita attraverso i suoi manager. Ma che significa? Che li possono portare via? No! Che li lasceranno lì per sempre? Boh! Che si possono usare? Mah! Ma allora che significa ? Nulla di tutto ciò. Significa che i macchinari staranno lì fino a quando non li porteranno via, se li porteranno via, ma soprattutto se i lavoratori li faranno portare via! Significa che c’è la cassa per 12 mesi nei quali dobbiamo reindustrializzare il sito con il contributo di Jindal e non solo. Significa che le istituzioni nazionali e territoriali devono darsi una mossa perché abbiamo poco tempo. Significa che chi vuole provare a fare male all’azienda ed avere giustizia, non passa a riscuotere le 7 mensilità, va in cassa, aspetta di vedere che succede e poi a fine anno impugna il licenziamento con le organizzazioni sindacali che lo supportano e assistono Significa che il dossier legale in mano alle organizzazioni, al momento del licenziamento e se non ci saranno risultati, può essere utilizzato è messo in campo.

Forse poteva andare meglio, forse potevamo fare di più. Forse. Ma tant’è. Per me è solo l’inizio di una nuova fase: c’è ancora molto da fare e da lottare, ma possiamo farcela.

 

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