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Home » Norcia, forza e dubbi: «C’è futuro per noi?»

Norcia, forza e dubbi: «C’è futuro per noi?»

di Lucina Paternesi
24 Agosto 2017
in Attualità, Dal territorio, In evidenza, Terremoto 2016
Tempo di lettura: 7 minuti di lettura
La strada per Castelluccio

La strada per Castelluccio

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di L.P.

Norcia, le prime immagini dopo le scosse

C’è chi era in vacanza, in barca. Chi, invece, aveva trascorso la notte fuori perché la macchina si era fermata a un’ora da casa. Chi aveva trascorso una serata d’estate con gli amici, chi aveva cenato in famiglia e si era coricato a letto come ogni altra notte e chi, invece, era da poco rientrato in casa propria, dopo aver partorito un bambino appena qualche giorno prima.

UNA SCOSSA LUNGA UN ANNO INTERO

Il 24 agosto Quella notte, però, alle 3,36 il tempo si è fermato e, da quel momento in poi, nulla è stato più lo stesso. «Io non avrei mai immaginato che la vita della mia famiglia potesse essere così stravolta», racconta oggi, a un anno di distanza da quel «maledetto 24 agosto» Benedetta Bianconi. Mamma di quattro figli, l’abbiamo conosciuta lo scorso inverno quando, con suo marito e i suoi quattro figli è stata trasferita al Tre isole di San Feliciano, sul Trasimeno, perché la sua casa è stata inagibile sin dal primo momento.

UN ANNO DOPO IL SISMA, LA GIORNATA A NORCIA – FOTO

Antonio, Giorgia e Giada, con i genitori Benedetta e Salvatore e il piccolo Sergio

Benedetta e i suoi quattro figli La paura, lo stordimento, l’ansia. Benedetta, quella notte, era accanto a suo figlio Sergio, nato da appena 8 giorni. «Si è salvato -racconta – solo grazie al tettino della carrozzina, altrimenti oggi non avremmo festeggiato il suo primo compleanno». Dopo mesi ‘in comunità’, al Trasimeno, il 29 aprile le è stata assegnata una Sae da 80 metri quadrati, dove ora vive con la sua famiglia e con sua mamma. In sette in casa tirano avanti «ma è sempre più difficile – dice – perché la ricostruzione non è partita e mio marito non ha ancora ripreso a lavorare. Mentre io, che lavoravo in un ristorante, con i danni subiti sono stata chiamata sì e no un paio di volte».

Il pranzo degli ospiti al Tre isole di San Feliciano

La ‘prima volta’ in centro Da quando è rientrata a Norcia, racconta, non aveva mai più messo piede in corso Sertorio. «La sera rimango qui, magari andiamo a fare una passeggiata col fresco ma sempre nella zona delle casette. L’altro giorno sono stata costretta a tornare nel centro della città per comprare delle cose in uno dei negozi che ha riaperto. Mi girava tutto, mi sentivo la terra tremare sotto ai piedi, sono dovuta scappare via. Non abbiamo ancora superato questo trauma e siamo alle prese con tutte le difficoltà che sono conseguite al terremoto. Nessuno ci aiuta, se non la Caritas, ho quattro figli: che cosa racconto a uno di loro quando si rompe il cellulare e non ho i soldi per ricomprarlo? Ci sentiamo non adeguati anche noi genitori in questi casi, la vita ci ha preso a schiaffi».

LE VITTIME UMBRE 

Daniele Testa nella ‘sua’ Castelluccio (DellaCortePhoto)

Nella ‘sua’ terra Anche per Daniele la vita, da un anno a questa parte, è completamente cambiata. «Forse, nonostante tutto, posso dire anche in meglio. Non mi sarei mai trasferito qua se non fosse successo tutto questo», racconta. Lui era in barca, quella notte. «La mia famiglia, invece – dice – era ad Amatrice, a fare trekking coi cavalli. Mi hanno chiamato, svegliandomi, all’alba. Per dirmi che c’era stato un terremoto fortissimo. I miei, per fortuna, erano rientrati a Roma. Poi abbiamo scoperto che i danni non erano stati esagerati. Non sapevamo ancora cosa sarebbe accaduto da lì a due mesi quando, con il terremoto del 30 ottobre, è venuta giù tutta Castelluccio».

C’è un ‘prima’ e un ‘dopo’ anche per Daniele Testa. Prima viveva al mare, vicino Roma, ora invece si è trasferito dove è nato. Nella sua terra, che ha riscoperto tale proprio nel momento in cui è stata più ferita. «Ho pensato che l’unica cosa che potevo fare era impegnarmi sin da subito per aiutare la mia gente». All’inizio faceva avanti e dietro dalla capitale, dopo il 30 ottobre si è trasferito a casa del cugino, a Norcia. «Ora viviamo tutti insieme qui, come una grande famiglia composta da 15 persone. Non sapevo di avere così tante cose in comune con mio cugino, o con mia zia», ride. Nella sua famiglia c’è chi una casa non ce l’ha più e chi, invece, potrebbe tranquillamente dormirci se non fosse che è accanto a un cumulo di macerie, pietre accatastate che un tempo costituivano la chiesa di sant’Agostino.

La campagna Resto in piedi

Gli aiuti E’ lui la mente di Castelluccio 1452Mt., una pagina Facebook che è anche una piattaforma di acquisto e di aiuto ai produttori agricoli e una finestra sul piccolo borgo ferito. Sua è anche la campagna ‘Resto in piedi sono Castelluccio’ e l’idea di lanciare felpe e magliette che sono state acquistate da tutta Italia e anche all’estero per sostenere la popolazione locale. Daniele ha saputo mettere a frutto le sue competenze di digital marketing per aiutare ‘la sua gente’ ma non solo, si è anche rimboccato le maniche e, a spese proprie, ha fatto arrivare nel piccolo borgo 30 camion di aiuti, 25 taxi con beni di prima necessità e poi i soldi convogliati tramite varie iniziative e piattaforme. Quasi cinque mila euro alla proloco di Norcia, 68 mila sul conto della curia e ancora trenta quintali di lenticchia venduta in sacchetti da mezzo chilo, 700 pandori donati dalla Bauli e altrettante felpe e t-shirt per l’esercito e i Castellucciani. Tutto, solo per la sua terra. 

Rispetto e riconoscenza «Quello che resta, di questo anno, sono le strette di mano. Un attestato di stima da parte di quegli uomini, anche molto più grandi di me, che prima guardavo con un po’di timore reverenziale e che ora, invece, mi dimostrano riconoscenza e rispetto. E’ quello che ti manda avanti. Tante volte ho pensato di andarmene e tornare alla mia vecchia vita poi, però, succede come l’altro giorno che incontri turisti che hanno letto di te e che sono venuti a Castelluccio solo per incontrarmi e stringermi la mano. Allora mi dico: stai facendo la cosa giusta».

La protesta degli agricoltori

La protesta degli agricoltori C’era sempre Daniele, quando poi è esplosa la protesta, a guidare il primo trattore che è partito da Norcia in direzione Castelluccio a titolo dimostrativo, per far capire alle istituzioni che la strada non era agibile. La protesta, nel borgo, ha creato un grande spirito di collaborazione e condivisione che raramente, prima, avrebbe visto così uniti gli abitanti del posto. Stefano Pasqua è stato uno degli agricoltori che ha portato avanti il braccio di ferro con le istituzioni per veder garantito il diritto al lavoro. Un diritto sacrosanto che, coi ritardi accumulati, ha visto impegnati gli agricoltori in un braccio di ferro con le istituzioni per non far saltare la semina della lenticchia. Protesta che è poi sfociata, qualche giorno prima della semina, in una carovana di trattori che ha cinto Norcia e che ha portato, alla fine, ai risultati sperati in uno dei luoghi in cui i ritardi, superata la fase dell’emergenza, ancora si fanno più sentire. 

Il presagio «E’ successo di tutto, nel corso di un anno, ma ora qui è tutto fermo» racconta Stefano mentre, per la seconda volta nella giornata, sta di nuovo salendo a Castelluccio in macchina, per accudire i suoi animali. Ha una grande azienda agricola, terreni, cinque trattori, una mietitrebbia, circa 500 pecore. La notte tra il 23 e il 24 agosto, racconta, dopo aver mietuto il farro, era andato a cena con la moglie e con gli amici. Poi, prima di rientrare nella sua casa sulla piazzetta di Castelluccio, ha avuto come un presagio. «Non so perché, ma quella sera rientrando io ho pensato al terremoto. E’ stato un lampo, che è sparito subito, prima di addormentarmi e poi risvegliarmi nel letto col pavimento che mi ballava sotto». Oggi Stefano è costretto a salire due volte al giorno a Castelluccio da Norcia per stare vicino ai suoi animali dopo che, nei mesi successivi alle scosse, aveva mandato il bestiame in Trentino, essendo impossibilitato a tenere gli animali ai pascoli.

La semina della lenticchia

La sua casa, in centro, nel piccolo borgo ai piedi del Vettore, sarà demolita il prossimo 28 agosto. Inagibile, del resto, come la piccola bottega in cui vendeva prodotti tipici sulla piazzetta del paese. «Quello che trovo più assurdo è come sia tutto sempre più difficile. Qui è impossibile lavorare, abbiamo dovuto minacciare le istituzioni per seminare la lenticchia. Oltre ai problemi del terremoto ci si è messa pure la siccità e abbiamo stimato una perdita del raccolto di circa il 25-30%. Tutte le pozze d’acqua sono secche, fortunatamente, e questo è l’unico aiuto che abbiamo, ogni giorno ci portano 300 quintali di acqua per far bere gli animali che altrimenti morirebbero di sete. Non possiamo dormire a Castelluccio perché non c’è niente, per questo sono costretto a fare avanti e dietro due volte al giorno. Appena munte le pecore, poi, devo rientrare a Norcia per mettere in fresco il latte, altrimenti andrebbe tutto buttato».

Una foto dal trattore di Stefano

Difficoltà quotidiane Non è solo l’aver perso tutto, una casa, dei ricordi, gli stessi mobili che, troppo spesso, sono ammassati sotto a un cumulo di macerie e finiranno in discarica, ad annebbiare la mente degli abitanti di Norcia e delle sue frazioni, Castelluccio compreso. Sono le difficoltà costanti che, nel quotidiano, spesso impediscono di poter anche solo immaginare un ritorno alla quotidianità. «Su tutto pesano le difficoltà per poter lavorare. E allora, senza lavoro, senza un aiuto per far ripartire le aziende, senza un progetto per rimettere in piedi l’economia e ricostruire questi borghi come fai a parlare di futuro?» si domanda Stefano.  

Il cartello appeso a Castelluccio (Foto Alfonso della Corte)

Il futuro Tutti ricordano perfettamente dov’erano quella notte. Ora, guardandosi intorno, per molti di loro il panorama è completamente cambiato ed è difficile riabituarsi a una normalità che non sempre li appartiene. Parlare di futuro è la cosa che resta più difficile. Benedetta non immagina il suo a Norcia, forse torneranno nella terra d’origine di suo marito Salvatore, in Sardegna. Per Daniele invece, nonostante tutto, il futuro è Castelluccio anche se «al momento non vedo niente intorno a me. Qui i lavori sono partiti con troppi mesi di ritardo, manca ancora tutto, le demolizioni sono bloccate. Non c’è un piano né un progetto, perché il tendone per quei cinque ristoranti è solo un palliativo per illudere i ristoratori che sarebbe partita la stagione turistica. Quel poco che oggi c’è a Castelluccio l’abbiamo fatto noi. Il cimitero ce lo siamo ripuliti da soli, chi voleva riprendere a lavorare si è attrezzato comprando un camper o affittandone uno e rimettendosi a cucinare lì dentro. L’unico futuro che si può ipotizzare ce lo dobbiamo riconquistare da soli. E allora, coraggio. E’ il momento di darsi da fare».

 

 

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