Giorgia «consapevole di ciò che ha fatto»

Terni, è uno dei risultati della perizia psichiatrica sulla 28enne accusata dell’omicidio del figlio appena nato: «Non voleva uccidere»

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Giorgia Guglielmi, la 28enne di Terni che un anno fa era stata protagonista di uno degli episodi più raccapriccianti che la recente storia di Terni ricordi – l’abbandono del figlio appena nato nel parcheggio dell’Eurospin di borgo Rivo, con conseguente morte del piccolo – è capace di intendere e di volere e quindi di stare in giudizio. Lo ha sancito la perizia effettuata sulla giovane dal dottor Massimo Di Genio, psichiatra dell’ospedale ‘San Filippo Neri’ di Roma. Allo stesso modo il perito incaricato dal tribunale di Terni, che mercoledì mattina ha riferito in aula di fronte al giudice Margherita Amodeo circa le conclusioni dell’esame psichiatrico, ha affermato che Giorgia Guglielmi «era ed è consapevole di ciò che ha fatto». Fin qui i dati che consentiranno al tribunale di giudicarla come qualsiasi altro imputato, nell’udienza già fissata per il prossimo 9 ottobre, dove probabilmente – oltre alla discussione delle parti – emergerà la sentenza. È accusata di omicidio volontario aggravato e rischia fino all’ergastolo.

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«Non voleva ucciderlo»

Poi ci sono i ‘ma’. E non sembrano – quelli avanzati dal dottor Di Genio – di poco conto nell’economia del processo. Li valuterà il tribunale, ma di fatto lo psichiatra ha affermato intanto che l’intenzione della 28enne, la cui famiglia è originaria di Cesi, non era quella di sopprimere il piccolo. Lei – secondo le risultanze – sperava effettivamente che venisse ritrovato e salvato da qualcuno. Ma purtroppo così non era stato, perché un bimbo nato da poche ore, senza la dovuta assistenza e in una busta di plastica, oppresso dal caldo, ha poche possibilità di vivere.

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«Relazione disfunzionale»

Altri elementi che la difesa della Guglielmi – reclusa nel carcere perugino di Capanne e rappresentata dagli avvocati Alessio Pressi e Attilio Biancifiori – cercherà di far valere, sono quelli relativi allo «stato di abbandono sociale e relazionale» che la donna avrebbe vissuto nel corso degli anni. Tanto da compiere anche gesti autolesionistici nei mesi precedenti il parto, durante la convivenza, di cui ancora oggi ci sarebbe traccia. Il perito ha parlato, in sostanza, di una «relazione disfunzionale», quella fra la 28enne e il compagno di nazionalità albanese – presente mercoledì in aula e parte civile attraverso l’avvocato Luca Leonardi – il cui peso si sarebbe fatto sentire anche nella decisione, autonoma, di abbandonare il piccolo che aveva appena dato alla luce. Azione che avrebbe in qualche misura riflettuto «il peso del suo vissuto familiare» fatto anche di tutta una serie di legami che nel tempo hanno finito per chiudersi, fino quasi a sparire.

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