Aggressione ai danni di Antonio Marozzo, il direttore sanitario del carcere ternano di vocabolo Sabbione, nella giornata di sabato. Protagonista del brutale episodio – che fa seguito a quello avvenuto a fine settembre ai danni di un’infermiera – è stato un detenuto 42enne ‘Alta Sicurezza’, recluso per reati connessi alla mafia in Puglia, che lo ha colpito improvvisamente al volto.
Il racconto
«Il detenuto – racconta Fabrizio Bonino del sindacato di polizia penitenziaria Sappe – non voleva essere trasferito a Taranto, come disposto dal ministero, ed ha preso a schiaffi il medico del carcere. Tre poliziotti penitenziari, immediatamente intervenuti, sono rimasti contusi. Sono stati momenti di grande tensione e pericolo, gestiti con grande coraggio e professionalità dagli agenti».
L’apprezzamento
Donato Capece, segretario generale del Sappe, esprime infine apprezzamento e vicinanza al personale di polizia penitenziaria ed al medico schiaffeggiato: «Auspico che il ministero della giustizia disponga accertamenti su quanto avvenuto, non trascurando di segnalare gli agenti per un’adeguata ricompensa. Hanno gestito l’evento critico con tempestività e professionalità»
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Duro anche il commento dell’Ugl penitenziaria attraverso Francesco Petrelli della segreteria nazionale: «L’Ugl è stata sempre contraria all’arrivo dei detenuti AS3 alla casa circondariale di Terni, istituto solamente adattato a carcere di massima sicurezza senza le dovute precauzioni necessarie. Massima solidarietà al direttore sanitario, Antonio Marozzo, colpito impunemente da un detenuto forse troppo viziato da una gestione atipica per i detenuti ad Alta sicurezza. È ovvio che le responsabilità di questa situazione incandescente vengano equamente suddivise tra tutte le gerarchie dell’istituto, compresa l’area sanitaria e la Usl 2. La sicurezza, complice il non adeguato contingente a disposizione – afferma Petrelli – è a rischio tutti i giorni con le risorse umane che cercano quotidianamente di garantire i livelli minimi di standard. Nell’infermeria, rinnovata e ingrandita con troppa semplicità nel 2016 senza la necessaria garanzia di sicurezza, tali episodi non sono certamente una novità e solo ora per il coinvolgimento del direttore sanitario vengono alla luce in maniera esponenziale. I direttori ne erano consapevoli avendo accettando oneri e onori. La struttura di Terni doveva e poteva rimanere un istituto di media sicurezza, le ambizioni di alcuni e le attese di altri hanno cambiato la morfologia ad un penitenziario che negli anni 2000 era un modello a livello nazionale. I cambiamenti se non accompagnati, adeguando la struttura e ampliando il personale, generano l’inevitabile escalation di confusione a livello organizzativo e soprattutto di aggressioni umane evitabili. Scelte sbagliate a livello nazionale con la complicità di una politica istituzionale assente: a livello locale la città di Terni ha subito prepotentemente l’ascesa di infiltrazioni criminali con la ramificazione sul territorio dei soggetti affiliati ad organizzazioni. Il tessuto è stato contaminato – conclude Petrelli – ed è sotto gli occhi di tutti una città del profondo sud. Prima l’aspetto intramurario e poi tutte le conseguenze all’esterno».