Riutilizzo dei rifiuti, l’ostacolo delle cave

Per il pieno sviluppo dell’economia circolare in Italia ci sono ancora diverse difficoltà. Una di queste è la concorrenza di materiali naturali come ghiaia e sabbia sottratti all’ambiente

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Dopo l’intesa raggiunta dal governo sulla norma per regolare il cosiddetto ‘end of waste’ e consentire il riutilizzo dei rifiuti che si era arenato per effetto del decreto ‘Sblocca cantieri’, rimane ancora un ostacolo nel cammino di sviluppo dell’economia circolare nel nostro paese: la concorrenza da parte di materiali alternativi di origine naturale come ghiaia o sabbia che, soprattutto in Italia, sono particolarmente a buon mercato e il cui consumo non è disincentivato da nessuna normativa, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei.

Corsa ad ostacoli

Anche in Italia l’utilizzo dei materiali riciclati non incontrerebbe alcun impedimento tecnico o normativo, eppure nella pratica si tratta di una corsa a ostacoli, tra norme poco chiare e interessi stratificati nel tempo intorno alla gestione dei materiali da cava. Il primo freno è tirato dai capitolati dei cantieri dei lavori, pubblici e privati, dove è previsto spesso l’uso di alcuni materiali che di fatto impedisce l’applicazione di quelli provenienti dal riciclo.

Si scava troppo

La sfida dell’economia circolare nasce proprio qui, perché solo grazie a una normativa chiara sarà possibile ridurre il prelievo di materiale e l’impatto delle cave sul paesaggio, dare una nuova vita ad una cava dismessa e percorrere la strada del riciclo degli aggregati. Il risultato di questo caos normativo è che in Italia si continua a scavare troppo e con impatti devastanti sull’ambiente e la strada del riciclo, malgrado la spinta delle direttive europee, è ancora molto indietro.

I numeri

Per capire la situazione delle attività estrattive in Italia occorre partire dai numeri e dai cambiamenti avvenuti a seguito della lunga crisi del settore delle costruzioni, cominciata nel 2008 e non ancora conclusa. La fotografia della situazione è scattata dall’ultimo ‘Rapporto cave’ di Legambiente (fermo però al 2017). Le cave attive sono 4.752 mentre sono 13.414 quelle dismesse nelle regioni in cui esiste un monitoraggio. A queste infatti bisognerebbe sommare le cave abbandonate del Friuli Venezia Giulia, regione in cui non esiste un monitoraggio né altre fonti, e di Lazio e Calabria, dove gli ultimi dati risalgono ormai a qualche anno fa e sono di fatto parziali: il numero complessivo arriverebbe ad almeno 14 mila cave dismesse. Rispetto agli ultimi anni si nota ancora marcatamente la crisi del settore edilizio che ha ridotto i dati delle quantità estratte in particolare per sabbia e ghiaia, ma i numeri rimangono comunque molto alti.

Leggi del Regno d’Italia

Il paradosso si aggrava se si considera che, a governare a livello nazionale un settore così delicato, è un Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927, con indicazioni chiaramente improntate a un approccio allo sviluppo dell’attività datato e che non tiene in alcun modo conto degli impatti provocati al territorio. Purtroppo ancora in molte regioni, cui sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977, si verificano situazioni di grave arretratezza e rilevanti problemi legati a un quadro normativo inadeguato, a una pianificazione incompleta e una gestione delle attività estrattive senza controlli pubblici trasparenti.

L’impatto sull’ambiente

Ogni anno nel solo distretto di Carrara si estraggono circa un milione di tonnellate di marmo in blocchi e quattro milioni di detriti con effetti impressionanti non solo al livello paesaggistico. Il risultato dell’attività dei circa 100 siti estrattivi presenti è tutt’altro che invisibile: cime ‘mozzate’, crinali incisi, discariche minerarie (ravaneti) visibili a chilometri di distanza, milioni di tonnellate di terre di cava abbandonate, inquinamento delle falde acquifere. A questo si aggiunga la difficile convivenza a cui è sottoposta la popolazione dei comuni limitrofi esposta a polveri, rumore e vibrazioni causate dell’intenso traffico di mezzi pesanti.

Gli esempi in Europa

Ridurre il prelievo di materiali e l’impatto delle cave nei confronti del paesaggio è urgente e oggi anche possibile. Lo dimostrano i tanti paesi europei dove si riduce la quantità di materiali estratti attraverso una politica incisiva di tutela del territorio, un’adeguata tassazione e la spinta al riutilizzo dei rifiuti inerti provenienti dalle costruzioni. In Danimarca, ad esempio, da oltre 20 anni si è posto il problema di come ridurre le estrazioni da cava e promuovere il recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione, con una politica di tassazione che arriva a far pagare 50 euro a tonnellata per il conferimento in discarica degli inerti. Un risultato che ha premiato, visto che oggi si fa ricorso per oltre il 90% ad inerti riciclati invece che di cava.

Da spreco a circolo virtuoso

Secondo i dati raccolti negli ultimi anni, gli inerti estratti (sabbia, ghiaia, pietrisco per calcestruzzo e cemento) in Italia sono stati oltre 140 milioni di metri cubi nel 2009, circa 90 milioni nel 2010, 80 milioni nel 2012 per arrivare a 53 milioni nel 2015. E in parallelo i rifiuti da costruzione e demolizione hanno visto ancora una crescita, arrivando a 53 milioni di tonnellate l’anno, il 90% dei quali vengono collocati in discarica. È evidente lo spreco di una gestione caratterizzata da un uso eccessivo sia delle cave che delle discariche e che potrebbe costruire un circuito virtuoso. Occorre allargare la quota di mercato degli aggregati riciclati, che oggi, grazie all’innovazione tecnologica e all’applicazione da anni nei principali paesi europei, hanno le stesse prestazioni degli aggregati naturali per impieghi nel settore edilizio, prezzi competitivi, e possono sostituire in tutti gli usi sabbia, ghiaia e inerti.

Le sfide del futuro

Il settore italiano delle costruzioni si trova a fronteggiare la sfida lanciata dall’Unione Europea: entro il 2020, come stabilisce la Direttiva Europea 2008/98/CE, il recupero di materiali inerti dovrà raggiungere quota 70%. Ad oggi è l’Olanda la nazione più virtuosa con il 98% dei materiali recuperati è la nazione più virtuosa, seguita dall’Irlanda che è arrivata in pochi anni al 97%, dalla Danimarca (92%) e dalla Germania (91%).

Cosa si può e si deve fare

In Italia invece, ancora troppo spesso da parte delle stazioni appaltanti si utilizzano diverse scuse per continuare a utilizzare materiali da cava, mentre esiste un’ampia disponibilità di aggregati ‘non convenzionali’ certificati che in termini di prestazioni sono del tutto equivalenti agli inerti naturali. Si tratta di materiali come gli inerti di scarto da lavorazioni industriali o da processi produttivi oppure ottenuti mediante il riciclo di materiali da C&D, il cui riutilizzo trova giustificazione in convenienze economiche, tecnologiche e ambientali. Ne sono un esempio le scorie di acciaieria che possono essere generalmente utilizzate per la produzione di aggregati per sottofondi stradali, per conglomerati cementizi o bituminosi. Ed è proprio questo, venendo al nostro territorio, lo scopo del progetto di recupero delle scorie di acciaieria lanciato da Acciai Speciali Terni insieme all’azienda finlandese Tapojärvi Oy.

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