Teatro Verdi: «Terni, non giocare il derby»

Per il comitato civico ‘Pro teatro Verdi’ non serve «riaccendere la diatriba tra ‘polettiano’ e ‘moderno’, ma dedicare tempo e risorse alla ricerca del progetto migliore»

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di Roberto Carelli
presidente Comitato civico pro teatro Verdi Terni

Negli occhi, nella testa e nel cuore dei ternani si è da poco sopito l’entusiasmo per il passato derby con il Perugia, vinto per 3 a 2. Nelle ultime settimane i giornali hanno dedicato vari articoli al teatro Verdi di Terni riaccendendo l’annosa diatriba tra ‘polettiano’ e ‘moderno’, tanto da paragonare questa discussione, per l’appunto, ad un ‘derby’ (naturalmente le virgolette sono d’obbligo).

Ebbene, il Comitato civico pro teatro Verdi sente il dovere di partecipare alla discussione e ribadire la sua posizione in proposito. Prima di tutto riteniamo che sia di fondamentale importanza ridare alla città il suo teatro principale senza per questo farsi prendere da una insana e irrazionale frenesia, ma dedicando alla ricerca del progetto migliore tutto il tempo e le risorse che esso richiede. Ricordiamo, in questo senso, che gli altri due teatri coevi al Verdi di Terni, e cioè Rimini e Fano, per ironia della sorte hanno avuto lo stesso destino del nostro: centrati nel corso dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. Rimini non è stato ancora riaperto al pubblico (dopo oltre 70 anni di chiusura e prossimo alla inaugurazione); mentre il secondo (che aveva riportato danni inferiori a Terni e Rimini) è rimasto chiuso per oltre 50 anni prima di essere restituito alla città.

Secondo il Comitato la discussione sul Verdi non dovrebbe assumere i toni e la rigidità della crociata ideologica, ma, nel rispetto della libertà di pensiero, di opinione e di espressione, dovrebbe contribuire a ipotizzare una soluzione che contemperi le varie posizioni intellettuali. Questo approccio permetterebbe, a nostro avviso, di superare lo stallo che abbiamo osservato negli anni trascorsi dalla sua chiusura ad oggi e permetterebbe di reperire risorse sulla base di una pax sociale che va perseguita. Il metodo da seguire nel modus operandi (proposto dal Comitato sin dal suo esordio dopo aver letto le carte), dovrebbe prevedere la analisi delle due soluzioni oggetto di discussione, più una terza che preveda una fusione tra antico e moderno. Detta analisi andrebbe effettuata in quanto a fattibilità, tempi di esecuzione e costi di realizzazione al fine di mettere a confronto le varie soluzioni e scegliere quella che meglio si presta a rispondere alle esigenze della città e della sua cittadinanza, nessuna esclusa aprioristicamente.

All’amico Bruno Galigani ricorderemo che Rimini sta ricostruendo un teatro ‘polettiano’, mentre all’amico Giuseppe Belli ricorderemo che non siamo più nel 1849 e quindi il ‘nuovo Poletti’ va, per l’appunto, attualizzato. La fusione tra stili, esigenze e visioni culturali è in grado di generare, secondo il nostro modo di vedere, un concept nuovo relativamente al futuro teatro Verdi che dovrà essere pensato anche in funzione della sostenibilità delle spese di rifacimento e di gestione futura. Non comprendiamo infine perché qualcuno sostiene che ristrutturare il Verdi così come era stato ricostruito nel 1949 (che significa rimettere mano a tutto tranne pronao, foyer e ridotto), dovrebbe essere meno impattante sulla popolazione residente rispetto alla sua demolizione e riedificazione. Rimaniamo in attesa di conoscere il risultato delle elezioni amministrative del prossimo 10 giugno che nel frattempo un miracolo già lo hanno fatto concretizzare: l’interesse di tutti su tutto.

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