di Simone Monotti
Presidente dell’Ordine degli ingegneri di Terni
Una città come Terni ha nell’anima la sua natura prettamente industriale. Non a caso proprio la categoria degli Ingegneri, da più di un secolo, da un contributo attivo al suo sviluppo nei tre settori in cui si articola: Civile ed Ambientale, Industriale, dell’Informazione. Oggi molti reperti o componenti della grande industria sono considerabili come vera e propria archeologia industriale e come tali debbono essere valorizzati e tutelati, rappresentando un pezzo della nostra storia ed identità culturale.
In città ne abbiamo esempi eccellenti a cominciare dalla pressa di fronte alla stazione, al cui salvataggio diede un contributo decisivo il nostro compianto Gino Papuli, fondatore della rivista Ingenium. A ben vedere comunque ci sono tanti altri esempi come la turbina idroelettrica di fronte all’Istituto Tecnico Industriale. Oggi, con la questione Telfer, questo tema è tornato decisamente di stringente attualità.
Riteniamo fondamentale la salvaguardia di tutto ciò che è meritevole di rappresentare la nostra tradizione, che è stata negli anni contemporaneamente anche “innovazione” di decennio in decennio. Fermo restando tutto ciò è evidente però come si debba sempre e comunque dare la precedenza alla sicurezza ed alla incolumità pubblica. Nel caso specifico della Telfer si tratta di un’opera ormai entrata nel paesaggio della zona, ed in questo senso è un elemento ormai “nostro”, anche se nel dettaglio rappresenta una tipologia costruttiva industriale abbastanza ricorrente e standardizzata (travatura reticolare in acciaio). Il suo compito era permettere il passaggio di condutture impiantistiche, consentendo anche il transito pedonale esclusivamente per le operazioni di monitoraggio e manutenzione.
Verifiche alla mano emergerebbe che il suo stato attuale sia decisamente problematico, con zone ove gli spessori del metallo, a causa dell’ossidazione, si è ridotto fino ad oltre il circa il 70%; è come se un elemento di acciaio spesso 13 mm si riducesse a meno di 4 mm. Riteniamo pertanto che, stando così le cose, la soluzione della rimozione divenga la più auspicabile.
Tecnicamente tutto è possibile, quindi anche una sua messa in sicurezza in loco, ma è chiaro che ciò comporterebbe costi faraonici e tempi molto lunghi di disagio alla viabilità. Molto più rapida e meno costosa invece la soluzione della rimozione. Pur nella sua ordinarietà come elemento tecnico, se ritenuta di interesse storico, la struttura potrebbe poi essere oggetto di manutenzione e sistemata, quale reperto, in un parco od una zona della città, magari proprio nell’area di Papigno una volta riqualificata infuturo.
In tal modo si limiterebbero anche i costi di trasporto visto che gli ampi spazi degli “ex studios” potrebbero ben accoglierne sia il deposito che le eventuali lavorazioni e la successiva esposizione.Le presenti considerazioni, naturalmente, intendono coadiuvare l’inquadramento generale della problematica, i cui aspetti di dettaglio sono ovviamente demandati alle autorità competenti.