Terremoto: «Il magma profondo tra le cause»

I risultati di un studio realizzato dall’Università di Perugia, insieme all’Ingv e publicato sulla rivista Science Advances

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«Intrusioni attive di magma sotto l’Appennino meridionale possono dar luogo a terremoti di magnitudo significativa e più profondi rispetto alla sismicità tipica di quell’area». A rivelarlo, uno studio firmato Ingv e del Dipartimento di fisica e geologia dell’Università di Perugia, pubblicato su Science Advances.

I TERREMOTI DEL 2016

Il lavoro di ricerca «I terremoti e gli acquiferi dell’Appennino meridionale – spiega l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – svelano la presenza di magma in profondità nell’area del Sannio-Matese». Il lavoro ‘Seismic signature of active intrusions in mountain chains’, pubblicato su Science Advances, impatta sulle conoscenze della struttura, composizione e sismicità delle catene montuose, sui meccanismi di risalita dei magmi e dei gas e su come monitorarli. 

La spiegazione «Le catene montuose sono generalmente caratterizzate da terremoti riconducibili all’attivazione di faglie che si muovono in risposta a sforzi tettonici», spiega Francesca Di Luccio, geofisico Ingv e coordinatore, con Guido Ventura, del gruppo di ricerca, «tuttavia, studiando una sequenza sismica anomala, avvenuta nel dicembre 2013-2014 nell’area del Sannio-Matese con magnitudo massima 5, abbiamo scoperto che questi terremoti sono stati innescati da una risalita di magma nella crosta tra i 15 e i 25 chilometri di profondità. Un’anomalia legata non solo alla profondità dei terremoti di questa sequenza (tra 10 e 25 chilometri), rispetto a quella più superficiale dell’area, ma anche alle forme d’onda degli eventi più importanti, simili a quelle dei terremoti in aree vulcaniche».

Le prospettive I dati raccolti, spiega l’Ingv, «mostrano che i gas rilasciati da questa intrusione di magma sono costituiti prevalentemente da anidride carbonica, arrivata in superficie come gas libero o disciolta negli acquiferi di questa area dell’Appennino e questo risultato – aggiunge il vulcanologo Guido Ventura – apre nuove strade alla identificazione delle zone di risalita del magma nelle catene montuose e mette in evidenza come tali intrusioni possano generare terremoti con magnitudo significativa. Lo studio della composizione degli acquiferi consente di evidenziarne anche l’anomalia termica». I risultati fin qui raggiunti , conclude Di Luccio, «aprono nuove strade non solo sui meccanismi dell’evoluzione della crosta terrestre, ma anche sulla interpretazione e significato della sismicità nelle catene montuose ai fini della valutazione del rischio sismico correlato».

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