«Il mio punto di vista su quello che è successo? L’impressione è che stia emergendo una forte strumentalizzazione di un episodio, comunque grave, per scopi diversi che esulano dalla normale preoccupazione per l’accaduto. C’è chi sta sfruttando la situazione per arrivare ad altri obiettivi, che può facilmente immaginare quali sono». A parlare è Vilma Toni, la dirigente della scuola media Benedetto Brin di Terni, quella frequentata dai due giovanissimi protagonisti dell’episodio finito alla ribalta delle cronache nazionali.
«Fatto grave» «Il fatto è avvenuto fuori dalla scuola e diversi minuti dopo la fine delle lezioni – spiega la preside -. C’è stato un pugno forte sferrato da un bambino di 11 anni ad una coetanea, colpita alla schiena e poi finita in ospedale in seguito al trauma. Sicuramente un fatto da stigmatizzare e grave».
In Italia da pochi giorni «I due alunni si conoscevano da poco più di due settimane – spiega la professoressa Toni -. Il bambino, proveniente dal Senegal, era arrivato da poco nella classe. Il primo giorno di frequenza era stato il 27 aprile. Subito sono emerse delle spiacevoli tensioni fra lui e l’alunna. Di questo avevamo parlato anche con le famiglie, cercando di chiarire in qualche modo la situazione e trovando la disponibilità di tutti».
L’inserimento «Sicuramente l’alunno ha avuto difficoltà nell’inserimento, tipiche di chi proviene da un altro Paese e non conosce la lingua. Per agevolarne il percorso abbiamo anche parlato con la sorella, che conosce l’italiano, soprattutto per superare questo conflitto con la compagna di classe e capirne le ragioni. Ora, alla luce dell’episodio, la situazione sarà ancora più difficile da recuperare».
«Bambini, non adulti» «Il punto – afferma la preside – è che stiamo parlando di bambini di 11 anni e non di due adulti. L’episodio resta grave ma sono piuttosto scettica sul fatto che possa nascondere chissà quali significati che, in un contesto diverso e con persone adulte, avrebbe potuto assumere».
La testimonianza Ma allora perchè l’accaduto è stato ricollegato al crocifisso portato al collo dalla bimba? «Guardi – spiega la preside – io non c’ero ma mi risulta che l’unica persona adulta che ha assistito al fatto sia la madre dell’alunna finita in ospedale. Lei dice di aver sentito chiaramente il ragazzino pronunciare frasi, in italiano, contro di lei e il suo crocifisso. Parole dette prima di sferrare il pugno. A noi risulta che l’alunno conosca a malapena la nostra lingua. Da lui non abbiamo mai sentito parole diverse da un semplice ‘ciao’. Per questo ci sembra strano che abbia potuto fare un riferimento così diretto al crocifisso ma, le ripeto, io non c’ero e la mamma dell’alunna lo ha invece dichiarato in maniera chiara ed inequivocabile».
«Cautela» «Episodi come questi capitano. Fortunatamente non tutti i giorni né frequentemente. Ma la mia idea è che se fosse accaduto fra due bambini italiani, non staremmo qui a parlarne. Credo che vada ricondotto a tutta una serie di aspetti e sarei molto cauta nel trovare una spiegazione solo ed esclusivamente nel crocifisso che l’alunna aggredita porta al collo».