Natale di riflessione fra povertà e lavoro

Perugia e Terni: gli ‘ultimi’, chi soffre e non ha speranza nelle parole del cardinale Gualtiero Bassetti e del vescovo Giuseppe Piemontese

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Il vento gelido della notte di Natale non ha scoraggiato i numerosi fedeli che a Perugia, nella cattedrale di San Lorenzo, hanno partecipato alla celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Nella sua omelia, che è stata anche il suo messaggio augurale rivolto alla città e alla comunità diocesana, il cardinale si è soffermato sul «mistero dell’incarnazione, che incanta e commuove gli uomini e le donne di ogni tempo e lascia a tutti la consapevolezza che ogni vita è degna di essere vissuta».

E DOPO LA MESSA IL PRANZO CON I POVERILE FOTO DA PERUGIA E TERNI

Presepio e croce: sofferenza, redenzione e speranza

«Il bambino – ha detto il cardinale Bassetti – è per tutti segno eloquente della semplicità, dell’umiltà, della tenerezza. È il segno del rovesciamento radicale delle nostre arroganze, presunzioni, volontà di dominio, perché possa nascere un mondo nuovo. Percorrendo questo crinale, si arriva ad un altro versante di comprensione del segno: quello dell’impotenza e della sofferenza che unisce, lungo un’unica direttrice di salvezza, il presepio e la croce, il bambino di Betlemme e il crocifisso del Golgota. Così fa la tradizione orientale che nelle icone della natività abbina culla e sepolcro. Scrive don Primo Mazzolari, un prete d’altri tempi: ‘In lui sofferente come bambino e come crocifisso, noi possiamo intravedere gli effetti spaventosi dei nostri peccati. Nel presepio vediamo bambini di tutto il mondo che piangono di fame e d’abbandono, di violenza e sopraffazione. Sulla croce vediamo poi i nostri fratelli disoccupati, taglieggiati, oppressi, vittime delle guerre fratricide, del terrorismo, della mafia, delle lotte per il potere, degli sfruttamenti economici. E tuttavia proprio dal presepio e dal calvario comincia la redenzione, giunge la risposta ai nostri interrogativi, s’avanza la speranza’».

Giovani-vittime: «Nostra responsabilità sociale»

Dal cardinale Bassetti una riflessione, poi, «sull’anno che stiamo per lasciarci alle spalle. Abbiamo sperimentato più volte la consolante presenza del Signore, come nel recente sinodo, in cui l’amore della chiesa per i giovani – ci ha ricordato di recente Papa Francesco – si è incrociato con l’entusiasmo dei giovani di tutto il mondo, credenti o meno: essi rappresentano la linfa vitale che attraversa la nostra società e da essi dipendono le sorti del nostro mondo. Un mondo che oggi ci appare, per tanti aspetti, travagliato e talvolta disumano. In recenti fatti di cronaca, ancora una volta i protagonisti sono i giovani, ma purtroppo in negativo, interpellando la nostra responsabilità sociale. Ragazzi che periscono tragicamente in discoteca, giovani che muoiono per mano di altri giovani o vittime del terrorismo».

Terremoto Centro Italia e tsunami in Indonesia

Il pensiero del presule è andato anche alle popolazioni terremotate del centro Italia e colpite dallo tsunami in Indonesia: «Motivo di angustia – ha detto il presidente della Cei – sono ancora le precarie situazioni in cui si trovano i fratelli terremotati nelle zone dell’appennino umbro-marchigiano, che attendono con ansia la ricostruzione delle loro case e dei loro paesi e l’inizio di una nuova vita. Accanto a loro anche le vittime e i superstiti del recente tsunami in Indonesia».

«Non svendere mai la nostra identità cristiana»

Bassetti ha anche esortato i fedeli a non rinunciare alla propria identità e lo ha fatto con queste parole: «Il Natale cristiano viene a ricordarci che il nostro Dio è il Dio della vita, non della morte; dell’impegno, non della rassegnazione; della pace, non delle tensioni polemiche; della gioia, non dello sconforto senza speranza. Per questo sento di augurare alla comunità cristiana e alla più ampia società civile, il coraggio di non arrendersi, di ricominciare ogni giorno con la fatica della ricerca, di affrontare la complessità della vita. Non vergogniamoci mai delle nostre radici umane e di fede. E non svendiamo mai la nostra identità cristiana».

«La nostra società sia una frontiera avanzata della pace»

Il cardinale ha concluso rivolgendo il suo «cordiale augurio di buon Natale, in particolare, a tutti coloro che soffrono nelle case, negli ospedali, nelle strutture di accoglienza, nelle carceri; a tutti i bambini, soprattutto quelli sfruttati; alle famiglie provate dal dolore; ai giovani in cerca di lavoro e di speranza; agli immigrati, che vanno considerati con il cuore del samaritano; agli ospiti permanenti e occasionali di questa nostra bella città; a tutti coloro che si trovano in servizio per garantire un decorso sereno della festa. Vada anche a tutte le autorità istituzionali, augurando loro di concorrere con una cordialità non formale alla sempre migliore conduzione del nostro vivere associato».

A Terni

«L’annuncio del Natale viene rivolto soprattutto agli ultimi, ai poveri, ai disprezzati, a coloro che non hanno altri appoggi, ai sofferenti, agli immigrati, ai peccatori, a coloro che si sono allontanati da Dio, a coloro che si ritengono irrecuperabili, a quelli che sono privi di speranza». Questo uno dei passaggi centrali dell’omelia del vescovo di Terni, Narni e Amelia – monsignor Giuseppe Piemontese – durante la celebrazione della notte di Natale, nella cattedrale di Terni. Il vescovo ha ricordato «la gioia e la speranza che viene dal Natale, la grandezza dell’amore di Dio che diventa uomo e prende su di sé le qualità, i limiti, le sofferenze e le dinamiche umane. Sceglie la via e la modalità della normalità, della semplicità e povertà per invitarci all’abbandono completo a Dio».

Un mondo ‘distratto’

Da monsignor Piemontese, un monito ai cristiani a vivere pienamente e il mistero del Natale e la sua spiritualità: «Anche quest’anno l’annuncio della nascita di Gesù si rinnova in un mondo distratto, più dedito al benessere terreno che ai valori dello spirito e della solidarietà umana. Abbiamo conservato l’involucro del Natale senza la sostanza, l’apparenza senza la realtà, prevale l’indifferenza o il ridurre la fede ad aspetti marginali o irrilevanti per la vita reale». A conclusione della celebrazione don Carlo Romani, parroco emerito della cattedrale, ha formulato gli auguri di un sereno Natale al vescovo a nome della comunità diocesana.

L’omelia del vescovo di Terni per la notte di Natale:

«Questa celebrazione è memoria dell’evento che ha segnato e inondato la pienezza dei tempi: la nascita di Gesù di Nazaret, figlio di Dio, che ha assunto e rivestito la natura umana nel seno della Vergine Maria. Evento che ha cambiato la storia, spartiacque tra il prima e il dopo di Cristo, principio e fondamento della chiesa che da Gesù trae vita e splendore. L’umanità non è più quella di prima, vedendosi trasformata, nobilitata, santificata, divinizzata. A Natale la liturgia ci aiuta a prendere consapevolezza di ciò che è accaduto in quella notte e della trasformazione ancora in atto per l’umanità e per ogni uomo. Ma noi abbiamo dimenticato il senso e la trasformazione operata dalla nascita di Cristo. Abbiamo conservato l’involucro del Natale senza la sostanza, l’apparenza senza la realtà. In un’intervista il filosofo Massimo Cacciari ha detto, sconsolato, che i primi ad aver abolito il Natale sono i cristiani che danno a vedere che il Natale per loro non ha nessuna rilevanza. In effetti, di fronte alla notizia che Dio si fa uomo, uno o ‘s’incavola o impazzisce’, invece non succede né l’una né l’altra cosa… perché prevale l’indifferenza o il ridurre la fede ad aspetti marginali o irrilevanti per la vita reale. Questa notte, convocati nella chiesa madre della nostra diocesi, e in tutte le chiese del mondo, facciamo insieme memoria della notte dei tempi, che ha atteso e sospirato la nascita in terra del Figlio di Dio e nello stesso tempo partecipiamo in prima persona ‘nel mistero’ al Natale di Gesù. Emuli di Francesco d’Assisi,accostiamo la nostra umanità alla umanità di Gesù: ‘Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello’ (FF468). Il brano del Vangelo di Luca ci racconta l’evento, ce ne spiega il significato e ce ne trasmette il messaggio che è motivo di gioia per gli uomini di tutto il mondo, specie quelli abbandonati a se stessi o privi di speranza. Invito a considerare il Natale con gli occhi e nella prospettiva dei personaggi richiamati da Luca. Cesare Augusto, imperatore di tutta la terra indice e promuove un censimento. Egli è l’emblema della condizione dell’umanità di quel tempo: umanità soggiogata ad una pace imposta con le armi, nazioni tenute sottomesse con la forza, popolazioni da censire, contare per calcolare la potenziale forza politica, militare ed economica. L’imperatore è elevato a dio, la condizione umana ridotta gente sottomessa e schiavizzata, funzionale alla glorificazione dell’orgoglio umano. Queste sono le grandezze umane, destinate a finire e ad essere destituite dalla forza di un bambino, figlio di Dio che si fa uomo, che viene a proporre un nuovo ordine di relazioni e a ribaltare le potenze umane. In contrapposizione alla potenza dell’imperatore, alla grandezza di Roma, San Luca richiama personaggi e luoghi sconosciuti e insignificanti: ‘Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta’. Alla logica del mondo, comincia a subentrare la logica di Dio: i riferimenti sono ai testi sacri, alla storia di Israele, alla Parola di Dio che ha preparato l’evento che sta per accadere. Giuseppe e Maria, scelti da Dio, accettano liberamente e volentieri di collaborare quali co-protagonisti all’evento divino che deve trasformare la storia. Con la loro semplicità, umiltà, obbedienza e umanità veicolano il disegno di Dio. Dio, nel suo immenso amore, non solo si relazione all’uomo, si fa bambino e si pone nelle mani dell’umanità. Prende su di sé le qualità, i limiti, le sofferenze e le dinamiche di ogni uomo per farsi vicino, prossimo ad ogni uomo. Sceglie la via e la modalità della normalità, della semplicità e povertà per invitarci all’abbandono completo a Dio. Che bello sapere che Dio si è fatto uno di noi. Nessun altra religione ci presenta un Dio innamorato dell’uomo come la nostra. È posto in una mangiatoia, quale sapienza si Dio, di cui possiamo vedere il vero volto e che diventa alimento e pane che sostenta e dà la vita vera agli uomini, che di Lui si nutrono. Siamo invitati a riconoscere questo amore di Dio, che si dona all’umanità. È figlio primogenito… quelli che sono consacrati a Dio per richiamare ogni uomo al fatto di essere consacrato a Dio e destinato alla gloria e non alla terra o al disfacimento. A questo bambino siamo chiamati a dare la nostra adesione di mente, di cuore di volontà. Nella nostra cultura i pastori, specie quelli del presepe, sono una realtà decorativa e romantica. Ben altro è il messaggio che Gesù, attraverso San Luca vuole darci. Erano una categoria di persone poco raccomandabili. Spesso erano briganti, assassini, impuri per la religione ufficiale, erano emarginati insieme ai pubblicani, alle prostitute. Non potevano testimoniare nei processi perché erano considerati inaffidabili, disonesti, ladri, violenti; sapevano di essere gli ultimi della terra. Tutti aspettavano il giorno in cui il Messia avrebbe fatto a pezzi i pastori, cani impuri… I pastori vegliavano il gregge di notte, a significare che erano persone immerse nella notte morale e spirituale, e hanno addirittura paura della luce perché se arriva la luce questa rivela le loro opere malvagie. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce come mai. Sono spaventati, di spavento grande. L’Angelo del Signore dice loro di non temere. Mai avrebbero pensato di essere raggiunti, avvolti, quasi fulminati dall’amore incondizionato di Dio. Con l’angelo appare una moltitudine dell’esercito celeste, non l’esercito dell’imperatore Ottaviano, ma l’esercito del regno di Dio, che canta ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama’; non gli uomini di buona volontà, perché quelli che lui ama più di tutti gli altri sono proprio gli ultimi della società, come questi pastori, emarginati da tutti perché considerati non soltanto lontani dalla società umana, ma lontani anche da Dio. Il messaggio del Natale è qui: Gesù è venuto per farci sentire la vicinanza di Dio, per immergerci tutti nella parentela di Dio. E l’annuncio del Natale viene rivolto soprattutto agli ultimi, ai poveri, ai disprezzati, a coloro che non hanno altri appoggi, ai sofferenti, agli immigrati, ai peccatori, a coloro che si sono allontanati da Dio, a coloro che si ritengono irrecuperabili, a quelli che sono privi di speranza. Non diluiamo la lieta notizia del Natale, dell’incarnazione del figlio di Dio: Dio ama incondizionatamente, perdutamente, l’umanità intera, anzi ogni uomo. Lasciamoci guidare da tale amore sconvolgente e gustiamo la gioia di sentirci fratelli di Gesù Cristo. Buon Natale a tutti».

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