La versione di Giunti: «Errori non solo miei»

L’allenatore del Perugia parla a 360 gradi della sua controversa esperienza di allenatore del Perugia. Parla soprattutto dei suoi errori, ma anche di quelli del presidente e dei calciatori

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di P.C. 

«Indifendibili, inguardabili ingiustificabili»: questi i tre aggettivi che un affranto Roberto Goretti, commosso fin quasi alle lacrime, usò per descrivere la prestazione della squadra e per giustificare l’esonero di Federico Giunti, capro espiatorio di un ottobre nero, pur sottolineando il fatto che non erano dell’allenatore tutte le colpe. Era il 24 ottobre di un anno fa. Sembra passata una vita.

L’intervista a Giunti

L’ultima di Giunti

Comincia così l’intervista di Marco Taccucci a Federico Giunti andata in onda lunedì sera su UmbriaTV. Era la seconda parte, senza dubbio la più attesa, considerando che a distanza di un anno sono ancora misteriosi i motivi di quell’incredibile inizio di campionato: partenza a razzo, poi cinque sconfitte consecutive, la contestazione, l’esonero, in quello che abbiamo definito ‘ottobre nero’. Giunti non soddisfa la pruderie di chi ipotizzava chissà quali segreti scabrosi, ma, liberato dal ruolo e dal contratto, le cose le dice. E non sono banali.

A FEBBRAIO NE PARLÒ, ANCHE ROBERTO GORETTI – L’ARTICOLO

La fascia tolta a Del Prete

Dopo aver ricostruito quelle incredibili settimane, nelle quali si passò dallo scetticismo all’esaltazione, poi dalla depressione alla rabbia, Giunti ricorda un episodio a suo giudizio decisivo nella gestione delle emozioni interne al gruppo: «Successe dopo la sconfitta casalinga con la Pro Vercelli (5-1). Dopo quella partita incredibile, il presidente decide di togliere la fascia di capitano a Lorenzo Del Prete e lo fa – sottolinea Giunti – per motivi extracalcistici, ma non quelli che si sono poi detti quando me ne sono andato, quando – ripete più volte – è stato inventato di tutto, cose che non voglio nemmeno ripetere. Semplicemente, Lorenzo fece una leggerezza, andando a pranzo fuori prima della partita, violando una regola interna (pubblicando poi la foto sui social; ndr). E poi si parlava di un tatuaggio fatto i settimana. Due cose che al presidente non erano piaciute e per cui decise di far valere la sua autorità».

L’errore di valutazione

«Io provai a intercedere – continua Giunti a proposito della fascia – sia nei confronti di Goretti, che ha giocato a calcio e sapeva quanto una decisione del genere potesse influire sul gruppo e sulla piazza, facendo passare Del Prete come l’unico responsabile di quelle due sconfitte; sia nei confronti di Santopadre, ma lui fu chiarissimo: ‘Nel mio club io decido direttore sportivo, allenatore e capitano’. Io sono stato abituato al fatto che il capitano lo decide o l’allenatore o il gruppo; anzi di concerto allenatore e gruppo. A quel punto commisi un errore: avrei dovuto impuntarmi e mettere un aut aut, magari minacciando le dimissioni. Non lo feci. Ero convinto però di avere sotto mano la situazione, di avere ragazzi intelligenti e che dopo qualche tempo, considerando anche che Del Prete era infortunato, avrei rimesso le cose a posto (come poi successe mesi dopo con Breda, quando Del Prete effettivamente recuperò la fascia; ndr). Purtroppo invece nel frattempo all’interno del gruppo si innescarono dei meccanismi che alla fine mi hanno danneggiato… e la colpa è tutta mia: quella decisione non dovevo farla prendere al presidente».

Quella maledetta partita

«Non ho mai avuto il coraggio di rivedere quella partita», dice Giunti riferendosi a Perugia-Cesena, la sua ultima panchina da Grifone. «Ma una cosa posso dirla – aggiunge – quella partita i giocatori non la giocarono al massimo per il loro allenatore». Parole gravi, ma Giunti puntualizza che non vuole accusare nessuno: «Capita, è successo anche a me. È un atteggiamento inconscio, ma io dopo il secondo gol capii che era finita e lo dissi a Goretti che era con me in panchina. Anche perché la mattina c’era stata una chiacchierata col presidente, che mi aveva detto chiaramente che mi dava ancora due partite (Cesena e Cremona; ndr) ma dopo quella prestazione posso dire che se non mi avessero mandato via loro sarei andato via io: non si poteva continuare in quella maniera lì». Un rammarico grande per Giunti, che aveva scelto di tornare a Perugia «per cancellare quella macchia del mio addio di 20 anni prima», dice riferendosi alla sua cessione nell’anno della retrocessione (anche quella contraddistinta da tante voci strane su quanto accadeva nello spogliatoio).

Il segnale a Brescia

Giunti e Santopadre

«Quando vinci con Parma e Frosinone, quando perdi a Palermo con un rigore inventato, cominci a pensare di essere forte e quando pensi di essere forte succede che entra Caracciolo e ti cambia la partita», dice Giunti ricordando Brescia-Perugia, quando il Grifo era primo per distacco fino a pochi minuti dalla fine della partita, fino appunto all’ingresso di Andrea Caracciolo. Fu l’Airone a ribaltarla con gol e assist, dopo il vantaggio iniziale di Han, che pure nei giorni precedenti era stato al centro di una polemica per la mancata partecipazione alla Domenica Sportiva. «Dopo Brescia non successee nulla di particolare – giura Giunti, smentendo altre voci secondo le quali proprio al Rigamonti si sarebbe rotto qualcosa – dopo qualche giorno il presidente fece alla squadra un certo tipo di ragionamento, che io condivisi, facendo capire che non si vince solo con la tecnica, ma bisogna combattere. Stop. Nient’altro. Nessun litigio, nessuna discussione. E soprassiedo sulle chiacchiere da bar che hanno riguardato me, giocatori, presidente… se ne sono inventate di ogni colore».

Piano inclinato

Succede però che dopo la sconfitta di Brescia ne arriva un’altra e un’altra e un’altra ancora. E quando le cose cominciano ad andar male poi vanno sempre peggio, come una palla che rotola su un piano inclinato. La partita successiva fu in casa con la Pro Vercelli: «Prendiamo gol, rimaniamo in dieci, decidiamo di tirare avanti per cercare l’episodio, lo troviamo (il pari di Belmonte; ndr), ma io non ho nemmeno il tempo di fare il cambio, che prendiamo il secondo gol. E a quel punto, con la voglia di fare il 2-2 ne prendiamo altri tre. Il 5-1 è stato pesante e incominciato a innescare dei meccanismi negativi nel gruppo». Poi arriva Foggia: «Giochiamo bene, li chiudiamo, ma loro alla prima ripartenza fanno gol con un tiro (quello di Gerbo) che se lo calcia altre 99 volte non fa gol. Poi il 2-0 su un altro errore nostro. Ma nonostante tutto facciamo il 2-1 e prendiamo un palo a pochi minuti dalla fine. Con il 2-2 avremmo aggiustato la partita e ci saremmo tirati fuori da quella situazione. Invece arrivò la terza sconfitta consecutiva e aumentò la depressione. Poi Spezia-Perugia… la partita l’avete vista, quanti errori individuali!». Su questo aspetto Giunti si sofferma più volte nel corso dell’intervista: «In quelle partite ci fu un numero incredibile di errori. E questo è un altro rammarico perché non sono riuscito a far capire ai ragazzi che fra ‘fare bene’ e ‘fare male’ c’è una linea sottilissima: se non ti presenti al massimo della concentrazione succede che fai errori evitabili e perdi».

La preparazione non fu sbagliata

«Questa è un’altra assurdità che è circolata – dice Giunti molto irritato – e sulla quale non ho mai avuto la possibilità di spiegare, finendo sul banco degli imputati insieme al mio ‘prof’ (il preparatore atletico; ndr), che poi fu allontanato con me. In realtà, quello della preparazione è un falso problema, introdotto ad arte per giustificare le sconfitte. Ma io vi posso assicurare che i dati del Gps ci dicevano che si lavorava e tanto. Solo che lo facevamo col pallone, secondo una concezione moderna della preparazione atletica, e probabilmente qualcuno, fuori e dentro il gruppo, abituato ad altri metodi, pensava che lavorassimo meno del dovuto. Ma non è così. Colpa mia che non sono riuscito a farlo capire».

Il ritorno mancato

C’è un’altra notizia clamorosa che arriva dall’intervista di Marco Taccucci. Quasi sul filo di lana. Ed è incredibile, a pensarci: Giunti ha avuto la possibilità di tornare sulla panchina del Perugia pochi mesi dopo (fra dicembre e gennaio), quando Breda rischiava il licenziamento. «Ho ricevuto la telefonata di Goretti, che mi ha chiamato come amico non come direttore, per vedere se c’era la possibilità di tornare, e se io potessi essere d’accordo, eventualmente, nel caso in cui il presidente mi avesse preso in considerazione. Ma fu un discorso di Goretti, che ha un suo peso specifico ma p diverso da quello del presidente, quindi io non posso nemmeno dire che c’è stata una proposta, ma solo una domanda di un amico». Giunti non rivela quale fu la sua risposta, ma i fatti poi hanno dato ragione a Breda, che inanellò una sfilza di risultati utili e arrivò poi fino a maggio, con l’epilogo che conosciamo.

Il futuro

«Con Roberto ho sempre avuto uno splendido rapporto – dice Giunti – certo, dopo l’esonero c’è stato un periodo di pausa di un mese e mezzo circa, per far decantare la cosa. Ma poi ci siamo sentiti più volte. Anche con Santopadre mi sono risentito in più di una occasione e nella primissima telefonata ho rimarcato quell’episodio di Del Prete, dicendogli che secondo me l’errore fu quello. In ogni caso, e non è una frase fatta, a lui devo essere grato perché mi ha dato la possibilità di allenare in serie B, fra l’altro una squadra forte, costruita secondo me bene». Nonostante tutto, però, Giunti è convinto che l’addio si a definitivo: «Non ci sono i presupposti per un mio ritorno, non con questa società, dovrebbero cambiare tante cose. Di certo, rimarrò tifoso del Perugia, che è stato una parte importante della mia carriera, prima da calciatore poi da allenatore».

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