Area di crisi complessa Terni e Narni sperano

Il senatore Gianluca Rossi (Pd): «Non significa essere un territorio che alza bandiera bianca, ma che anzi può puntare a nuove e diverse forme di sviluppo»

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I tecnici della Regione ci stanno lavorando e una bozza di quello che potrebbe essere il documento da inviare al Mise per richiedere ufficialmente il riconoscimento dello stato di ‘Area di crisi complessa’ per il territorio di Terni e Narni è in avanzata fase di elaborazione.

I Comuni Il documento è all’esame dei due Comuni, che potranno proporre le loro valutazioni e le eventuali integrazioni, tenendo preseti quelle che sono le caratteristiche dei territori e, soprattutto, i requisiti necessari perché il riconoscimento sia possibile. Il sindaco di Narni, Francesco De Rebotti, illustra òle speranze del suo Comune.

PARLA IL SINDACO DI NARNI – L’INTERVISTA

Ascoli La rilevanza del riconoscimento – seppure su di esso si è polemizzato – è facilmente intuibile, se si pensa che dopo il 10 febbraio scorso, quando l’ex ministro Federica Guidi firmò il decreto che riconobbe lo stato di Area di crisi complessa per la ‘Val Vibrata-Valle del Tronto Piceno, comprendente i sistemi locali del lavoro di Ascoli Piceno, San Benedetto, Comunanza e Martinsicuro’, subito si parlò, in quella zona, di un possibile ‘giro’ di investimenti quantificabile in oltre 100 milioni di euro.

Terni-Narni Uno dei maggiori sostenitori della validità dello strumento è stato ed è il senatore del Pd Gianluca Rossi ed è a lui che umbriaOn ha chiesto di spiegare quali vatnaggi concreti potrebbero derivare dal suo rinoscimento.

Gianluca Rossi

Gianluca Rossi

di Gianluca Rossi
Senatore del Partito Democratico

Oggi più che mai, di fronte agli effetti della crisi economica mondiale che tardano a passare, alla politica compete il dovere di chiedersi qual è il ruolo del ‘pubblico, o meglio, quale nuovo ruolo possa e debba riconquistarsi il ‘pubblico’, in una fase di crescente distacco dei cittadini, senza per questo avere lo sguardo rivolto all’indietro o, allo stesso tempo, considerare tale ruolo definitivamente superato o peggio ancora dannoso.

Io penso che sia dovere delle Istituzioni esplorare una diversa dimensione dello spazio pubblico evitando, lo dico con una battuta, di ‘fare ciò che non gli compete’.

Per queste ragioni le mie riflessioni si concentreranno su quello che noi possiamo portare come contributo non solo alla discussione, perché altrimenti diventa accademico, ma alla soluzione del tema centrale che affligge il nostro Paese; ovvero uscire dalla crisi e agganciare la crescita per far riprendere l’occupazione, soprattutto quella giovanile.

Fare, in sostanza, quello che si cerca di fare in tutti i Paesi, europei e non, siano essi guidati da forze progressiste che da forze conservatrici, nella convinzione che in una società oramai compiutamente poliarchica la politica e quindi anche le istituzioni, sono solo una parte dei soggetti chiamati a dare soluzioni e risposte, ma ad esse, però, compete il ruolo di creare un contesto adeguato a fare esprimere al meglio chi decide d’investire e rischiare del suo.

In questo quadro la manifattura e l’industria sono elementi sostanziali del capitale sociale e ne tracciano in modo indelebile i caratteri essenziali. E’ una connotazione identitaria che segna nel tempo la società e, contestualmente, però, ne consente la competitività del territorio.

Sebbene, infatti, la quota del settore manifatturiero, in termini di valore aggiunto totale nell’economia, resti leggermente al di sopra della media Ue, l’Italia sta vivendo una vera deindustrializzazione. E solo recentemente abbiamo invertito la tendenza, tuttavia in modo ancora troppo debole.

L’industria italiana, quindi, ha subito la crisi economica peggio degli altri Paesi europei, le imprese si devono confrontare in un mercato sempre più globalizzato e, se si considera l’obiettivo della stessa Ue di raggiungere entro il 2020 una quota di Pil da produzione manifatturiera del 20% il quadro si fa ancor più incerto.

Il settore siderurgico, per esempio, a noi molto caro, rimane trainante per tutta l’Europa, ma deve fare i conti con i Paesi Asiatici, Cina in testa, e quelli dell’America Latina, dove nei primi il costo della mano d’opera è basso mentre nei secondi l’asso vincente sono le miniere di materie prime (mentre in Ue è il rottame l’unica materia prevalente e di qualità), con il costo dell’energia che rasenta il doppio rispetto al resto del mondo e con il nostro Paese che peggiora di circa il 30% i suddetti costi europei. Il tutto oggi aggravato dal tema del riconoscimento della Cina come economia di mercato e da una prospettiva fatta d’incertezze (tra il 2015 e il 2019 la domanda mondiale di acciaio inox, per esempio, aumenterà ad un tasso medio annuo del 2,6%, ma con incrementi diversi: Asia +3,2%, America +1%, Europa +0,5%).

Da dove ripartire. Dallo sviluppo e consolidamento di leadership tecnologiche e produttive sui drivers dei materiali e delle tecnologie innovative, della chimica verde, delle energie rinnovabili e della bioedilizia si può ripartire. Senza mai dimenticare l’originale rapporto tra manifattura, arte e cultura, che già nell’Italia del medioevo aveva un suo originale significato.

Occorre però superare due concezioni diverse ma entrambe rischiose. Da un lato la visione declinista, che specie nel recente passato, lasciava intravedere una crescita solo in una prospettiva di terziario o di un hi-tech decontestualizzato da qualsiasi vocazione territoriale, dall’altro il rischio dell’arroccamento all’interno del territorio, la rivendicazione orgogliosa dell’appartenenza, senza però la capacità di muoversi in una dimensione globale.

Nel prospettare una nuova visione dello sviluppo occorre, quindi, definire una cornice di riferimento e un percorso di politica industriale con obiettivi chiari e scelte nette anche per l’Umbria e per l’area ternana.

Una grande fetta di dibattito pubblico ed istituzionale recente è stata dedicata a cercare la ‘cura più adatta’ a ricostituire il tessuto industriale di Terni e Narni, deteriorato dalle crisi economiche degli ultimi dieci anni. Non siamo un caso isolato e rappresentiamo un agglomerato di risorse che però attualmente si mette a sistema spontaneamente, affrontando con approcci singoli le dinamiche del mercato o il rapporto con le multinazionali.

Io credo, al contrario, che il valore aggiunto consista nel mettere assieme i singoli sforzi, per remare tutti verso una direzione, definita in modo strategico, ragionando su cosa sarà il nostro territorio nei prossimi decenni. E’ evidente che una visione di tale gittata non può che essere costruita con il contributo è il protagonismo di tutti: cittadini, mondo del lavoro, imprese, istituzioni. E queste ultime hanno il dovere di essere gli animatori di questo nuovo modo di fare sistema, garantendo un punto di riferimento stabile ed utile.

Gli effetti della crisi sull’area Terni-Narni sono davanti agli occhi di tutti, così come quelli della globalizzazione e delle sue contraddizioni, fatte di opportunità ma anche di criticità estreme, come vere eccellenze industriali (penso alla Basell prima e alla Sgl Carbon poi) che hanno lasciato il nostro territorio non certo per mancanza di mercato o per un carattere dequalificante delle produzioni e delle maestranze.

Lo snodo principale, quindi, di questo processo è l’idea che per reinventare un territorio, rilanciare su nuovi presupposti il suo Dna industriale, le sue possibilità di sopravvivere alle evoluzioni dell’economia, serve una visione strategica condivisa dove ciascuno fa la sua parte.

E in questo contesto non possiamo fare a meno di una strumentazione pubblica adeguata a questa sfida a supporto.

Prima però una premessa. Essere riconosciuti ‘area di crisi’ non significa essere un territorio che alza bandiera bianca: ne sono un esempio le molte aree del Paese, anche più avanzate della nostra, che stanno avendo il riconoscimento di area di crisi industriale complessa.

La disciplina relativa alle aree di crisi industriale complessa, precedentemente dettata dall’articolo 2 della legge numero 99 del 2009, è stata riordinata, parallelamente a quella riguardante gli incentivi alle imprese, con il decreto legge numero 83 del 2012, al fine di aggredire la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per favorire la crescita, lo sviluppo e la competitività nei settori delle infrastrutture, edilizia e dei trasporti, nonché per il riordino degli incentivi per la crescita e lo sviluppo sostenibile finalizzati ad assicurare, nell’attuale situazione di crisi internazionali ed in un’ottica di rigore finanziario e di effettivo rilancio dello sviluppo economico, un immediato sostegno e il rinnovato impulso al sistema produttivo del paese, anche al fine di garantire il rispetto degli impegni assunti in sede europea indispensabili, nell’attuale quadro di contenimento della spesa pubblica e conseguimento dei connessi obiettivi di stabilità e di crescita.

L’articolo 27, comma 1, del suddetto decreto legge, poi convertito in legge, prevede infatti che, in caso di situazioni di crisi industriali complesse non risolvibili con risorse e strumenti di competenza regionale, i progetti di riconversione in riqualificazione industriale (Prri) rappresentino gli strumenti d’interventi attivati dal Mise volti a promuovere obiettivi chiari e definiti.

L’area di crisi complessa nasce, dunque, dall’esigenza di pensare al territorio in modo sistemico, con stanziamenti dedicati, selettivi di fondi nazionali e regionali puntando su assi d’intervento precisi come: investimenti produttivi anche di carattere innovativo con creazione di nuova impresa, riqualificazione delle aree interessate e riconversione di aree industriali dismesse, recupero ambientale e efficientamento energetico dei siti industriali, realizzazione di infrastrutture funzionali agli interventi, formazione del capitale umano con investimenti in ricerca e alta formazione coerenti.

Terni e Narni devono saper cogliere questa opportunità, che insieme alla strumentazione relativa ai progetti dell’agenda urbana e delle Smart Cities, potranno favorire un nuova fase dello sviluppo.

Mettiamoci dunque al lavoro con chi desidera collaborare, sacrificarsi, impegnarsi per progettare il futuro, senza perdere altro tempo prezioso.

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