Amelia, fava cottòra presidio ‘Slow food’

E’ l’unico riconoscimento nella provincia di Terni, tra i 7 in tutta l’Umbria e i 268 italiani

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di Fra.Tor.

In tutta Italia sono 268 i presidi ‘Slow food’ – la grande associazione internazionale no profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi -, tra questi c’è la ‘Fava cottòra dell’Amerino’, unico presidio nella provincia di Terni e tra i 7 in tutta l’Umbria.

La storia A raccontare a umbriaOn la storia che ha portato la ‘Fava cottòra’ a diventare presidio ‘Slow food’ è Maria Chiara Flugy, socio fondatore del ‘Per – Parco dell’energia rinnovabile’ a Guardea. «Circa 7 anni fa – racconta – ho conosciuto Angelica, una ragazza residente a Frattuccia una frazione di Guardea, che in quel periodo si stava laureando in agraria con una tesi in cui riscopriva l’alto valore proteico di questo tipo di fava. Insieme, nel 2010, abbiamo fondato l’Associazione dei produttori della ‘Fava cottòra dell’Amerino’: 20 in tutto, concentrati nelle zone di Frattuccia e Collicello, frazione del Comune di Amelia».

‘La fava cottòra’ La fava si chiama cottòra, perché viene ‘cotta’ prima dal sole e dalla terra, dal momento che si raccoglie già secca. E poi, perché si consuma solo dopo la cottura. Anche con la buccia, che è molto tenera. «Da queste parti la fava – aggiunge Maria Chiara – negli anni cinquanta e sessanta rappresentava l’unica fonte di sostentamento. Quando abbiamo iniziato a coltivarla volevamo recuperare sapori e tradizioni di un tempo. Non è stato facile. Il progetto, però, è piaciuto subito ai Comuni di Guardea e Amelia, alla Provincia e alla Camera di commercio di Terni, i quali, con un piccolo contributo, hanno permesso che la ‘Fava cottòra dell’Amerino’ diventasse presidio ‘Slow food’».

La produzione Produrre la ‘Fava cottòra’ «è molto faticoso. Sia la semina che la raccolta vengono fatte a mano per la caratteristica del prodotto. La semina si fa in inverno tra novembre e febbraio con il freddo umido di questa regione e la raccolta avviene a luglio, quando la pianta è secca. Dopo la pulitura dei baccelli, i semi sono selezionati a mano, per eliminare quelli verdi, rotti o macchiati e conservati in vasi di vetro con l’aggiunta di spicchi di aglio».

Gli obiettivi Il riconoscimento garantisce l’alta qualità del prodotto. Da quando la fava è diventata presidio ‘Slow food’ per Maria Chiara e Angelica sono aumentati produzione e fatturato. «Siamo passate – chiariscono – dai 20 chili iniziali ai 300 attuali. Non siamo ricche, ma stiamo a poco a poco realizzando il nostro sogno, ovvero quello di dimostrare che l’autosufficienza alimentare è possibile. Abbiamo iniziato ad esportare il prodotto anche fuori regione, nei territori limitrofi, ma il nostro obiettivo è quello di raggiungere anche il nord Italia. Non molliamo».

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