Cacciatori bloccati dal Dpcm, la protesta si fa forte: «Danni a 360°»

Niente caccia e 100 mila cinghiali scorrazzano tra semine e raccolti. Doppiette costrette a mille rinunce nonostante gli alti costi delle autorizzazioni governative e regionali

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Nella zona ‘gialla’ (al momento Provincia di Trento, Veneto, Lazio, Molise, Sardegna) si può esercitare ovunque la caccia, rimanendo sempre all’interno della propria area. Diverso per la zona ‘arancione’ (al momento Umbria, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche, Puglia, Basilicata, Sicilia) dove è possibile andare a caccia ma senza oltrepassare i confini del proprio Comune. Infine la zona ‘rossa’ (al momento Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Provincia di Bolzano, Toscana, Campania, Calabria, Abruzzo) dove è vietata totalmente la caccia.

Giulio Piccioni

La pressione delle associazioni venatorie

All’indomani dell’ultimo Dpcm, la Federcaccia umbra ha scritto alla presidente della Regione Donatella Tesei e all’assessore Roberto Morroni chiedendo: l’autorizzazione alla caccia per i ‘capannari’ con appostamenti fissi anche fuori dal Comune di residenza; l’autorizzazione a far esercitare la caccia fuori dal Comune ma nell’ambito dell’Ambito Territoriale di Caccia al quale si è iscritti; che i componenti delle squadre ‘cinghialiste’ possano esercitare l’attività venatoria nei settori assegnati diversi dal proprio comune di residenza, o che provengono da fuori regione e che hanno la residenza venatoria in un Atc umbro, magari anche con un numero minimo di partecipanti fino a 15 persone. La risposta del Governo Conte ha risolto in senso negativo ogni quesito: un no secco. «Personalmente – afferma Giulio Piccioni, presidente della Federcaccia provinciale di Terni – ritengo che concedere la possibilità di andare a caccia nell’Atc dove si è iscritti sarebbe stata una cosa giusta. Il superamento dei limiti comunali, in questo caso, sarebbe stato quanto mai opportuno».

«Decisione eccessiva, irragionevole»

Sauro Zara presidente provinciale di Libera Caccia ricorda come «nel corso dell’ultima conferenza Stato-Regioni i presidenti Toti della Liguria, Giani della Toscana e la nostra Tesei hanno chiesto che nelle autocertificazioni si prevedesse la possibilità di andare a caccia al cinghiale, così come negli appostamenti fissi di tordi e colombacci, fuori dal Comune di residenza. Il governo Conte ha detto ‘no’ su tutto il fronte, concedendo la possibilità di spostamento solo ai raccoglitori di tartufi e funghi ma con partita Iva. Le decisioni del governo mi sembrano immotivate, eccessive e del tutto estranee alla ‘ratio’ dei vari provvedimenti. L’atteggiamento di chiusura nei confronti dell’attività venatoria – sostiene ancora Sauro Zara – non si fonda su ragioni di natura tecnica e scientifica, visto che la caccia si pratica in quasi totale isolamento e in spazi estremamente ampi, ed è in stridente contrasto con le decisione assunte dai governi di tutte le nazioni europee».

Giampiero Amici

«Cinghiali senza alcun ‘freno’: danni scontati»

Giampiero Amici, presidente provinciale dell’Arci Caccia di Terni, è deluso, perché convinto che ci fossero spazi di manovra.
«Secondo me si poteva fare meglio. Visto che la caccia, ad esclusione di quella al cinghiale, si esercita individualmente, forse si poteva benissimo derogare e consentire gli spostamenti fuori Comune, magari nell’ambito della stessa provincia, come minimo, escludendo ovviamente le zone rosse. Tutto questo si poteva fare anche per la caccia al cinghiale con qualche accortezza in più, magari evitando gli assembramenti. Sia chiaro, non voglio sottovalutare la situazione sanitaria che resta prioritaria. Purtroppo – spiega Amici – la risposta del governo Conte è stata netta e non ha accolto alcuna proposta. Ora si tratterà di vedere cosa accadrà nei prossimi mesi, specie per i rischi legati alla presenza dei cinghiali. Senza caccia ci sarà un ulteriore pauroso aumento numerico di questi selvatici e quindi un aumento esponenziale dei danni alle colture agricole. Credo che dovremo organizzarci e fare in modo da ottenere iniziative di contenimento per questa specie, anche dopo la chiusura programmata della stagione venatoria, magari con l’utilizzo delle squadre di cacciatori».

Albano Agabiti

Agricoltori in allarme per i danni dei cinghiali

A preoccuparsi è anche il mondo agricolo. Il presidente umbro della Coldiretti, Albano Agabiti, ha scritto all’assessore regionale Roberto Morroni per il rischio cinghiali su semine e raccolte di fronte alla frenata che registra l’attività venatoria. «Specie in questo periodo di emergenza sanitaria che provoca sofferenze all’intero tessuto produttivo – sostiene Agabiti – occorre fare il possibile per fermare l’escalation di danni, aggressioni e incidenti che causano purtroppo anche vittime, che sono il risultato dell’incontrollata proliferazione degli animali selvatici, in particolare dei cinghiali, il cui numero in Umbria si stima abbia superato abbondantemente i 100 mila esemplari». Agabiti chiede a Morroni di riflettere sulla possibilità di una interpretazione meno restrittiva del Dpcm del 3 novembre, per consentire la caccia sull’intero territorio regionale. «Oltre a mettere a rischio la sicurezza sulle strade e intorno alle abitazioni – ricorda Agabiti – i cinghiali continuano a devastare le campagne e le colture».

Spettro peste suina

Ma a preoccupare sono anche i rischi per la salute provocati dalla diffusione di malattie come la peste suina. Un pericolo denunciato recentemente dalla stessa virologa Ilaria Capua che ha parlato del rischio effetto domino se oltre al coronavirus la peste suina passasse in Italia dagli animali selvatici a quelli allevati. L’attuale limitazione dell’attività di caccia, rischia dunque di avere serie ripercussioni sul contrasto alle specie invasive, la difesa dell’agricoltura e la sicurezza delle persone. Oltre otto italiani su 10 (81%) – secondo l’indagine Coldiretti/Ixè – pensano che l’emergenza cinghiali vada affrontata con il ricorso agli abbattimenti, soprattutto incaricando personale specializzato per ridurne il numero.

Scontro tra Lega e ambientalisti

Tutte le associazioni venatorie sin dall’emanazione del Dpcm hanno invitato i cacciatori al senso di responsabilità, vista la delicata fase. Ma in tutta Italia diverse sono le iniziative di singoli gruppi di cacciatori che protestano per i divieti. Chiedendo almeno di essere rimborsati della quota versata all’Atc. I due estremi sono poi rappresentati dalla Lega, che chiedeva di consentire gli spostamenti dei cacciatori all’interno dell’Atc, e il Coordinamento delle associazioni ambientaliste, che volevano lo stop totale della caccia in tutta Italia, al pari delle zone rosse.

Le voci dei cacciatori

Alberto Matocci conta 49 licenze e 39 di lavoro alle Acciaierie. «Mi sento vittima di una grave ingiustizia. Faccio il mio esempio: abito a Terni centro e muovendomi solo nel mio Comune, dove vado? A Piediluco, Cesi, La Rocca e Maratta dove perché rischio di sconfinare a Narni. E quanti sono i cacciatori come me? Tanti. Almeno ci facessero spostare solamente nell’ambito dell’Atc che abbiamo pagato. Non dico tutta la Regione ma almeno nell’Atc, dove almeno ci sono vari Comuni limitrofi. Rischi? Non ne vedo: c’è il rispetto del distanziamento, visto che dobbiamo stare a 100 metri l’uno dall’altro, svolgendo un’attività all’aperto: ma quale contagio?». Alessio Antonini, 36 anni, è un operaio con una grande passione per la caccia agli anatidi. Ma Alessio, a dispetto dell’età, è conosciuto in tutta Italia come allevatore amatoriale di Restoni italiani, la vecchia razza meticcia dei contadini, il classico cane da ‘pagliaro’ per intenderci, che riusciva a fare tutti i tipi di caccia, in ogni territorio. Selezione amatoriale ‘The Prince’ è il nome del suo allevamento del tutto amatoriale. «A Terni ci hanno proprio chiuso. Il nostro Comune – sostiene – ha i confini proprio a ridosso della città. E questo, specie per uno come me che va ad anatre, non consente affatto la caccia. A Terni poi, in particolare, la pista ciclabile da poco realizzata ci ha di fatto tolto tutto il corso del fiume Nera dove è ormai impossibile esercitare l’attività venatoria. Cosa chiederei a Conte? Di farci cacciare fuori dal Comune di residenza anche perché, mi ripeto, i ternani non sanno davvero dove andare. Ci ascolterà? Non lo so ma io ci spero. È brutto dirlo, ma abbiamo pagato e qualche diritto forse lo abbiamo acquisito: così facendo ci avrebbero preso solo i soldi. Sia chiaro, sono una persona corretta e preciso che non lo pretendo ma almeno ci dessero una mano a coltivare la nostra passione».

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