Perugia: ‘creano’ vita, ma temono per la loro

Umbria, il servizio ‘diagnosi e cura della riproduzione umana’ conta numeri da capogiro. Ma il personale è poco e precario

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Una struttura all’avanguardia, l’unica in Umbria che si occupa di studiare e risolvere i problemi legati all’infertilità, in grado di dare una risposta alle tante coppie che desiderano mettere al mondo dei figli e che, durante il naturale percorso, incontrano delle difficoltà. È quella che si occupa di ‘diagnosi e cura della riproduzione umana’, in via del Giochetto a Perugia, a direzione universitaria e che vede come responsabile, per conto dell’azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia, il dottor Gian Francesco Brusco.

Umbria e non solo Il servizio conta numeri da capogiro: solo nel 2013 sono stati trattati circa 16 mila pazienti con una media di circa 400 inseminazioni artificiali. Si tratta per la maggior parte di coppie umbre – la stima è fra il 75 e l’80% del totale – ma non mancano le richieste dalle aree più vicine, come Lazio, bassa Toscana, Marche, e anche da regioni che non sono proprio dietro l’angolo: Sicilia, Calabria, Puglia, Trentino e Lombardia su tutte. Segno di quanto i servizi offerti siano apprezzati a livello nazionale.

Trattamenti Dal 1985 ad oggi la struttura ha compiuto importanti passi avanti: dal ‘semplice’ studio dell’infertilità con una metodica di primo livello, si è giunti ad offrire tutto ciò che la fecondazione assistita richiede. Dall’inseminazione artificiale alla fecondazione in vitro – la ‘classica’ Fivet, ma anche la più avanzata Icsi – fino alla ‘Tese’, ovvero l’estrazione degli spermatozoi dal testicolo.

Incertezza-sede Per anni la struttura ha operato in quello che era l’ospedale di Monteluce e lì rimasta, per circa di un anno e mezzo, anche dopo il trasferimento dei servizi al Santa Maria della Misericordia. Fino a quando non è stato deciso di spostarla nella sua sede attuale, quella di via del Giochetto, anche se all’orizzonte c’è un nuovo trasloco. Dove, però, ancora non si sa. E siamo alla prima incognita: «L’importante – afferma il dottor Gian Francesco Brusco – è che si tratti di una sede consona alla mole di lavoro che ci caratterizza, funzionale, ampia e rispettosa della privacy dei pazienti, elemento che in questo ambito riveste un’importanza assoluta».

Numeri eccellenti E proprio grazie al centro di diagnosi e cura della riproduzione, l’Umbria si attesa fra le regioni più virtuose in ambito di fecondazione assistita: «Abbiamo un tasso piuttosto alto, compreso tra il 40 e il 50%, fra le donne con meno di 35 anni di età, mentre ci attestiamo al 35% nella fascia 35-39 anni. Basti pensare che la media nazionale è del 28% nel primo caso e del 22% nel secondo. Numeri di cui andiamo orgogliosi – dice il dottor Brusco – al pari delle attività che conduciamo di concerto con le strutture oncologiche della regione. A Perugia si pratica anche la crioconservazione (congelamento, ndR) sia del liquido seminale che degli ovociti prelevati da persone affette da patologie neoplastiche o degenerative. Obiettivo, in questi casi, è evitare che cure pesanti, come la chemioterapia, possano minare il percorso di fecondazione assistita».

L’ombra della precarietà Accanto alle eccellenze, però, ci sono alcuni nodi da sciogliere per garantire basi il più possibile solide a quello che è un punto di riferimento nel contesto sanitario dell’Italia centrale. Attualmente il dottor Brusco è l’unico medico ospedaliero che opera nella struttura, dopo che, circa un anno fa, un altro specialista non si è visto rinnovato il contratto. Di recente l’università ha messo a disposizione un altro medico che però è operativo due giorni a settimana. «La prima difficoltà – afferma il dottor Brusco – è quella legata alla stabilizzazione del personale. Le due biologhe specializzate su cui possiamo contare, hanno un contratto a tempo determinato mentre l’urologo, fondamentale per lo studio dei casi maschili, è a contratto. È chiaro che operare in un contesto di incertezza non aiuta e qui c’è bisogno di un’equipe, perché la qualità la fa la squadra, non il singolo».

Personale insufficiente Oltre che ‘precario’, il personale è anche insufficiente in relazione alla mole di lavoro ben testimoniata dai numeri: «Servirebbe almeno un terzo biologo con competenze specifiche, un altro medico che possa supportarmi e anche un’altra ostetrica (al momento ce ne sono tre, ndR) perché si tratta di una figura molto importante che funge anche da filtro e fornisce le prime risposte all’utenza. Quello del personale – aggiunge Gian Francesco Brusco – è un investimento che potrebbe consentire alla nostra struttura di fornire servizi ancora più efficienti, senza andare in affanno come a volte capita».

Tempi di attesa Sul punto il dottor Brusco spiega che «rispetto ad altre strutture analoghe in Italia, sono praticamente dimezzati. Il primo momento in cui si ‘inquadra’ una coppia, non supera i tre mesi e in massimo sei mesi riusciamo a fornire il primo trattamento di fecondazione assistita. Cosa che in altre strutture pubbliche non avviene e questo finisce per spingere l’utenza verso i privati».

Fecondazione eterologa «Siamo assolutamente in grado di poterla eseguire. Tecnicamente, per noi, è identica a quella omologa. Il punto, però, è che non ci sono donatori di liquido seminale né donatrici di ovuli. D’altronde il percorso medico che una donna deve seguire per poter giungere a donare i propri ovuli non è dei più semplici. E questo finisce per demotivare».

Ticket azzerato «In Umbria la Regione ha annullato ogni ticket per le coppie in cui la donna ha un’età inferiore ai 42 anni. Questo vuol dire che gli utenti non pagano quattro trattamenti di ‘primo livello’ (inseminazione, ndR) e tre di fecondazione assistita. Nessun’altra regione italiana offre ciò. Chi viene da fuori, invece, paga il ticket previsto».

Il paziente Un quadro, quello dipinto dal dottor Brusco, confermato anche dall’utenza: «Si tratta di un servizio molto organizzato ed efficiente – spiega un ragazzo che vuole restare anonimo -. Ogni paziente è seguito con cura e attenzione, dal colloquio iniziale alle visite successive. Dal punto di vista operativo, c’è il dottore che ci segue e si occupa praticamente di tutto. Tempo fa c’erano anche dei tirocinanti ma poi non li abbiamo visti più. L’impressione è che riescano a ottimizzare le poche risorse disponibili, in termini di personale, e che una sola assenza rischi di creare problemi. Basti pensare che la sala di attesa è sempre stracolma di persone. La realtà è che stiamo parlando dell’unico centro regionale che abbiamo e, visto che lì si ‘crea’ la vita, non una cosa da poco, andrebbe sostenuto in ogni modo».

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