Radioembolizzazione, successo a Terni

All’ospedale eseguito il primo trattamento – procedura mininvasiva innovativa – su una 73enne abruzzese

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Un traguardo raggiunto grazie al lavoro multidisciplinare delle equipe mediche dirette da Giovanni Passalacqua, Fabio Loreti, Mariano Quartini e Marco Italiani, a capo della radiologia, medicina nucleare, epatologia e fisica sanitaria. Andato in archivio con successo all’ospedale di Terni il primo trattamento di radioembolizzazione per il trattamento di tumori epatici primari e secondari in fase avanzata: è stato eseguito su una 73enne abruzzese.

Entrata in regime a Terni una procedura terapeutica mininvasiva altamente innovativa, che viene eseguita in pochi centri di riferimento nazionali e in nessun altro ospedale dell’Umbria. Prevede – tecnicamente si chiama Trans arterial radioembolization, Tare l’infusione di microsfere radioattive di ittrio 90 direttamente nell’arteria epatica e nei vasi tumorali; vale a dire una radioterapia dall’interno nel fegato e nel tumore, indicata in casi particolari e molto selezionati. «L’obiettivo – spiega l’azienda ospedaliera – è il rilascio di microsfere radioattive nel letto tumorale tramite la rete arteriosa. Tale risultato è frutto di un approccio clinico integrato e multidisciplinare che coinvolge diverse figure professionali: il radiologo, l’interventista, il medico nucleare, il fisico medico e l’epatologo. Un lavoro di squadra e di precisione volto a definire la giusta quantità di radioattività da somministrare e a creare la radiotossicità necessaria per colpire il tumore, con tecnica mininvasiva, preservando da qualsiasi danno i tessuti sani e riducendo gli effetti collaterali sul paziente».

Lo sviluppo La metodica è tutt’altro che semplice, come spiega l’ospedale. «Prevede uno studio preliminare, con una Tc ad alta definizione e uno studio angiografico seguito da uno studio scintigrafico con Tc Spect, per verificare che i macroaggregati si siano concentrati esclusivamente nell’area tumorale, senza fughe verso altri organi. Successivamente il fisico sanitario procede a calcolare, in base al volume del tumore, la quantità di particelle radio-embolizzanti che occorre. Le particelle utilizzate per questa metodica vengono prodotte in Canada e inviate a Pisa in un apposito contenitore la settimana che precede l’intervento. Occorre aspettare il tempo di decadimento dell’ittrio e l’intervento viene eseguito in radiologia interventistica, all’incirca in un paio d’ore, con il paziente leggermente sedato. I pazienti destinati alla radioembolizzazione sono individuati e successivamente presi in carico dal reparto di Gastroenterologia ed Epatologia, ove avviene la selezione, il ricovero ed il follow-up dei pazienti. Costituisce un’opzione terapeutica aggiuntiva rispetto alle terapie sistemiche già conosciute (chemioterapia e farmaci neo-angiogenetici) e alle metodiche di radiologia interventistica (come la termoablazione o la chemioembolizzazione) nei casi in cui il tumore è più avanzato. La radioembolizzazione riesce infatti – in conclusione – ad ottenere spesso una remissione parziale della malattia, con allungamento dell’aspettativa di vita».

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