«Sanità pubblica feudale e i suoi vassalli»

Umbria – Il centro studi ‘Malfatti’, con il vice presidente Stentella, interviene sul tema della salute e del rapporto pubblico-privato

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di Danilo Stentella
Vice presidente centro studi politici e sociali ‘Malfatti’

Sullo stato del servizio sanitario pubblico ormai si è scritto e detto di tutto, mentre un po’ tutti si stanno lentamente rassegnando e abituando. Ci si abitua alle liste d’attesa, ai servizi di diagnostica che le Usl non forniscono più, lasciando fare ai privati convenzionati, ci si abitua agli articoli a intermittenza dei politicanti, alle inutili sceneggiate dei sindacati, ci si abitua a chi propone una pezza a settimana, mai una soluzione strutturale e risolutiva. Mai qualcuno che proponga, pretenda, il ritorno a un servizio sanitario nazionale, mai qualcuno che si incateni davanti al ministero pretendendo la fine di questo medioevo.

Nella società feudale i beni pubblici, come sicurezza, giustizia, ordine, erano forniti da tante piccole imprese quasi monopolistiche, le baronie, l’equivalente delle nostre Regioni, entità anacronistiche che oggi gestiscono questa situazione di ritorno ai tempi delle crociate, dopo la famigerata riforma del titolo quinto della Costituzione. Tuttavia le baronie di quel tempo rappresentavano la dimensione ottimale per fornire quei pochi beni pubblici a una popolazione scarsa. Persino i baroni, man mano che le società diventarono più complesse, compresero che con l’ampliarsi dei loro compiti si trovavano a sostenere spese che solo su scala più grande sarebbero state sopportabili e gestibili. Per questo nacquero gli imperi, per consentire economie di scala, le stesse che nella moderna società italiana sono state abbandonate per tornare alle baronie regionali, ingestibili.

A Terni, città un tempo pilota dell’industrializzazione pesante del Paese, si è rappresentata forse la più grottesca pagliacciata di questa saga, incoraggiata da una legge del nostro parlamento che consentirebbe a chi ricostruisse uno stadio, di realizzare anche una clinica privata. Non si capisce quale sia il nesso che sono riusciti a trovare quelle perle di legislatori tra le due strutture. Forse che si sia trattato di una legge stimolata da qualche lobby? O forse in ‘arlamento siedono davvero personaggi mitologici come Cetto La Qualunque?

Il tradimento della riforma del sistema sanitario introdotta dalla legge 833/1978 sotto il ministero di Tina Anselmi, un vero fiore all’occhiello dello stato sociale italiano, ha lasciato mano libera a mandrie di peones della politica e dei sindacati, che rispettivamente hanno lentamente distrutto e tollerato la distruzione di questo servizio pubblico. Così, mentre scarseggia il personale sanitario, per le mancate assunzioni e per il passaggio di tanti alla sanità privata convenzionata, pochi giorni fa al pronto soccorso dell’ospedale ‘Santa Maria’ di Terni, oltre alle solite attese di decine di ore, le ambulanze non erano nemmeno in grado di scaricare i pazienti per la mancanza di barelle, lettini, sedie a rotelle, quindi non solo crisi del personale, ma anche delle attrezzature.

Così mentre si gioca a saccheggiare la nave che caracolla, il personale che resta nelle strutture pubbliche vive un interminabile periodo di stress da superlavoro. La moglie di un mio caro amico è morta lo scorso anno rientrando a casa dall’ospedale, schiantandosi con l’auto per un colpo di sonno, per superlavoro, per stanchezza. Così mentre si gioca con la salute e la dignità degli italiani questi spendono mediamente 1.700 euro in prestazioni sanitarie private, il 5,2% dei nuclei familiari affronta una situazione di disagio economico per le spese sanitarie, l’1,5% impoverisce a causa di quelle spese, il 2,3% affronta per curarsi spese ‘catastrofiche’.

La spesa sanitaria pubblica italiana dal 2000 al 2021 è cresciuta mediamente del 2,8% annuo, il 50% in meno che negli altri Stati europei, nel 2021 la forbice è stata del -38%. Recuperare questa differenza rappresenterebbe un grande sforzo finanziario, che si sarebbe potuto evitare se chi è preposto a vigilare avesse fatto il proprio dovere, in primis le organizzazioni sindacali, insieme alle forze politiche di opposizione. Invece questi soggetti sfacciatamente ti mandano addirittura proposte di adesione a fondi sanitari privati, nemmeno convenienti. In tutto questo il diritto costituzionale alla salute è calpestato da quelle mandrie di peones.

Voglio essere chiaro tuttavia su un punto, non sono contrario all’iniziativa privata, non sono contrario alla sanità privata che per definizione non dovrebbe operare come un parassita delle finanze pubbliche, per mezzo delle convenzioni. Ma anche le strutture private virtuose devono essere in grado di garantire ai pazienti almeno gli stessi livelli di sicurezza garantiti dal servizio pubblico, devono dotarsi di una rianimazione, di un pronto soccorso, di reparti di terapia intensiva etc. Non basta più scrivere ogni tanto un coccodrillo sullo stato della sanità pubblica, non basta più andare a fare una sceneggiata di un paio d’ore davanti alla sede della Regione, non basta più per nascondere alle persone che nessuno si sta occupando dei bisogni dei cittadini. ‘La nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani’ (SØren Kierkegaard).

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