Terni, amianto killer: odissea giudiziaria

Dopo la morte dell’uomo – operaio dell’ex polo chimico – ora sono i familiari a portare avanti la battaglia e la Cassazione gli ha dato ragione

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Una battaglia per vedere riconosciuto il nesso fra il lavoro svolto per 19 anni, dal 1977 al 1996, presso il polo chimico di Terni – dalla Montefibre alla Montedison, dalla Montepolimeri alla Himont e quindi per la Montell – e la fibrosi polmonare diffusa, diagnosticata nel dicembre del 2002 a seguito di un ricovero all’ospedale di Narni. Malattia che lo avrebbe poi portato alla morte nel marzo del 2012, all’età di 71 anni.

La storia è quella di un operaio ternano – B.A. – e dei suoi familiari. Del procedimento, avviato nel 2007 attraverso una causa di lavoro nei confronti dell’Inail, l’uomo non potrà purtroppo vedere la conclusione, ma ora sono i congiunti – dopo un primo giudizio favorevole da parte del tribunale di Terni ed un secondo a loro sfavorevole della corte d’appello di Perugia – a sperare di poter ottenere finalmente giustizia. Soprattutto dopo che la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza di secondo grado, rinviando il giudizio alla Corte d’appello di Firenze.

L’amianto e gli inquinanti Quando era ancora in vita, attraverso i propri legali – lo studio associato Crescimbeni-Lavari di Terni – A.B. aveva intentato causa all’Inail per vedersi riconosciuta una rendita di invalidità di almeno il 60%. Una posizione basata sul fatto che la grave patologia che lo aveva colpito, era – secondo l’operaio e i suoi legali – strettamente connessa ad un’esposizione costante, nelle proprie mansioni, a materiali contenenti amianto e cloruro di vinile monomero, fortemente nocivi per la salute.

Appello dà ragione ad Inail Una posizione contestata dall’Inail – per la quale non c’era una connessione fra il lavoro e la patologia – e che per vagliare la quale, sia il tribunale di Terni che, successivamente, la corte d’appello avevano disposto tre diverse ctu. Nel loro giudizio, che dava di fatto ragione all’Inail, i giudici di Perugia sostenevano che «non essendo in realtà noto l’agente patogeno (che potrebbe essere, ma potrebbe anche non essere, l’amianto) non è possibile ritenere che l’esposizione ad amianto abbia avuto incidenza nel determinismo causale della patologia di cui soffre l’appellato».

Cassazione: nuovo giudizio «Motivazione questa palesemente erronea – osservano dallo studio Crescimbeni-Lavari – tanto che è stata censurata dalla Corte di Cassazione, la quale sostiene che che in materia civilistica ‘non necessita un rigoroso criterio di assoluta certezza del nesso causale ambiente di lavoro-patologia, essendo sufficiente che tale nesso sia più probabile che non’». Da qui l’auspicio, espresso dai familiari dell’operaio deceduto così come dai loro legali, «che la Corte d’appello di Firenze definisca il caso in senso positivo, ad oltre 15 anni dall’accertamento della malattia».

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