Terni: «Per insegnare vattene in Lombardia»

L’odissea di una docente ternana: nonostante la graduatoria, è stata spedita a seicento chilometri da casa dal ‘famigerato’ algoritmo del Miur

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di F.T.

Un esodo forzato a seicento chilometri da casa, nonostante gli anni di insegnamento alle spalle e punteggi – quelli richiesti dalle graduatorie della ‘Buona scuola’ di Renzi – di tutto rispetto. Il destino, beffardo come le cervellotiche decisioni imposte dal famigerato algoritmo del Miur, riguarda diversi docenti ternani. A raccontare la sua storia è una di loro, insegnante 44enne della scuola primaria, che ora rischia di trasferirsi nella lontana Lombardia, nonostante si trovi ai vertici delle graduatorie. Con tutte le ripercussioni che è facile immaginare sugli affetti e – visto che è anche moglie e madre – sulla vita familiare.

Gli inizi La sua è un’odissea, un tunnel di cui ancora non si vede la luce, che rischia di sfociare nelle aule di giustizia dove altre, prima di lei, hanno visto riconosciute le proprie ragioni. Ma andiamo per ordine: «Sono diventata insegnante di ruolo nel 2015 – racconta – a seguito del piano di straordinario di assunzioni previsto dalla legge 107 (la ‘Buona scuola’, ndR). A seguito della domanda di assunzione, sono stata assegnata ad un istituto di Terni ma il primo anno è ‘provvisorio’, perché l’incarico ufficiale arriva dal secondo anno e in base alla mobilità obbligatoria che, in teoria, dovrebbe consentire agli insegnanti di poter lavorare in zone non troppo distanti dalla propria residenza».

Doccia fredda L’anno scolastico procede regolare e durante l’estate, quella che sta per chiudersi, l’insegnante ternana resta in attesa di conoscere la propria sorte, consapevole che la sua posizione nelle due graduatorie dell’Ufficio scolastico provinciale di Terni – quella ad esaurimento ‘Gae’ e l’altra relativa alla mobilità – dovrebbe tenerla al riparo da brutte sorprese. Dovrebbe. La comunicazione ufficiale è un fulmine a ciel sereno: assegnata ad una scuola della Lombardia – da lei indicata come sessantesima scelta fra le varie alternative possibili – con la prospettiva di doversi allontanare dalla famiglia – da una figlia che cresce e dal marito che lavora a Terni – ‘sradicata’ dalla realtà in cui opera da anni e catapultata in un’altra, con tutte le difficoltà del caso.

Odissea La sua storia non è diversa da quelle di tanti altri che, in giro per l’Italia, pur a fronte di punteggi alti e titoli di tutto rispetto, si sono visti spedire a centinaia di chilometri dalla propria casa, soprattutto verso il nord. E infatti in centinaia hanno presentato la ‘richiesta di conciliazione’, una scappatoia prevista dal contratto della scuola per sanare controversie, come quelle che sono nate attorno ai trasferimenti imposti dall’algoritmo del Miur. Anche la docente ternana lo ha fatto, ma ad oggi la sua domanda sembra sparita nei meandri della burocrazia, fra Terni e Roma. «L’atto viene raccolto dall’ufficio scolastico provinciale e poi inviato a Roma – spiega -. Io l’ho presentato ad inizio agosto e poi se ne sono perse le tracce. E lo stesso è accaduto ad altre colleghe che, come me, non sanno che fine abbia fatto la richiesta di conciliazione, visto che a Terni non ne sanno nulla». Il timore è che il ministero abbia finito per ignorare tutta una serie di istanze, magari legittime, perché privo di una risposta da dare ai diretti interessati.

La riflessione «Sono dieci anni che insegno – racconta la docente 44enne -, ho frequentato master e nel tempo ho cercato di cogliere ogni occasione utile per incrementare il mio punteggio e il bagaglio di esperienza. Risultato? Colleghe molto più indietro nella graduatoria sono state assegnate a Terni ed a zone limitrofe, mentre io ed altre con una posizione in graduatoria analoga alla mia, siamo state spedite in realtà lontane da quella umbra. Si tratta di un sopruso, non ho altre parole». E ora, in assenza di risposte, la questione potrebbe finire all’attenzione del giudice del lavoro. Ad esempio per ottenere un provvedimento che sospenda il trasferimento, in attesa di un giudizio di merito che, con i tempi della giustizia, si preannuncia tutt’altro che breve.

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