Telecamere in ufficio, imprenditrice nei guai

Terni: aveva installato il sistema senza accordo sindacale né autorizzazione della Dtl. Cassazione conferma ammenda di 600 euro

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Nel novembre del 2015 il tribunale l’aveva condannata a pagare 600 euro di ammenda per la violazione dello statuto dei lavoratori, perché in qualità di amministratore unico di una società con sede anche a Terni, nel 2012 aveva fatto installare due telecamere negli uffici della ditta – con tanto di dispositivo wi-fi – senza che prima vi fosse stato un accordo con i sindacati e senza l’autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro.

Sentenza confermata La donna, 27enne di origini marchigiane, aveva impugnato la sentenza di fronte alla Corte di cassazione che ha però rigettato il ricorso, condannandola al pagamento delle spese processuali.

«Telecamere illegittime» Per i giudici della terza sezione della Cassazione, «la legge, incluso il decreto legislativo 151 del 2015, ribadisce la necessità che l’installazione di apparecchiature (da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ma dalle quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori) sia preceduta da una forma di accordo tra parte datoriale e rappresentanze sindacali dei lavoratori, con la conseguenza che se l’accordo (collettivo) non è raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l’installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità amministrativa (Direzione territoriale del lavoro). In mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l’installazione dell’apparecchiatura è illegittima e penalmente sanzionata».

«Non basta il consenso dei lavoratori» Alla base della decisione assunta dai magistrati della Suprema Corte, c’è un’ulteriore riflessione: «La diseguaglianza di fatto e quindi l’indiscutibile e maggiore forza economico-sociale dell’imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, dà conto della ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile, potendo alternativamente essere sostituita dall’autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro, nel solo caso di mancato accordo tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali, ma non invece dal consenso dei singoli lavoratori, poiché, a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe al datore di lavoro fare firmare a costoro, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato dal timore della mancata assunzione». 

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