Terremoto: «Serve piano triennale»

Mario Bravi (Ires Cgil): «Non sono sufficienti misure tampone. Serve invece un vero programma straordinario e pluriennale, di dimensione nazionale»

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XVII Congresso Nazionale CGILdi Mario Bravi,
Presidente Istituto ricerche economiche e sociali della Cgil Umbria

Nella risposta immediata da parte della Protezione civile e del volontariato si sono evidenziate ancora una volta le caratteristiche positive del popolo italiano che ha saputo reagire immediatamente e con grande slancio ai danni ripetuti che anche il recente sisma ha prodotto.

Ma la violenza di questo ultimo terremoto, che fortunatamente si è rivelato senza vittime, impone adesso un ragionamento forte di prospettiva ed un intervento di lungo respiro.

L’Umbria e la dorsale appenninica in particolare costituiscono da una parte una ricchezza inestimabile in termini di paesaggio, ambiente, patrimonio artistico e monumentale, dall’altra sono da sempre un territorio estremamente fragile. In sostanza una regione di splendide città e borghi ma anche di terremoti ricorrenti e spesso devastanti.

Le prime misure varate del Governo centrale sono insufficienti.

L’impegno di spesa contenuto nel disegno di legge di Bilancio all’art.51 (600 milioni per il 2017, 800 milioni per il 2018, 950 per il 2019) e gli ulteriori interventi previsti nel decreto successivo con misure sulla semplificazione e a sostegno dell’agricoltura, non bastano per raggiungere lo scopo di una solida ricostruzione e della messa in sicurezza delle zone colpite dal sisma.

La realtà ci dice chiaramente che non sono sufficienti misure tampone. Serve invece un vero programma straordinario e pluriennale, di dimensione nazionale.

E’ quindi evidente e prioritaria la necessità di aprire un negoziato con la Commissione europea per uno spazio di deficit adeguato (pari al 1% annuo del Pil) che finanzi tale piano. Un intervento triennale di spesa di circa 17 miliardi l’anno per complessivi 51 miliardi.

Si tratterebbe in questo caso di un deficit virtuoso, che può raggiungere più obiettivi: mettere in sicurezza il territorio e il suo enorme patrimonio artistico, rilanciare l’economia e il sistema delle imprese a partire dall’edilizia, creare lavoro per le giovani generazioni e non solo.

Questa scelta darebbe respiro e futuro alla intera regione, in particolare alla fascia appenninica e alle aree interne, contrastando lo spopolamento e investendo seriamente e in maniera durevole sul futuro. Serve una specie di “shock economy” di segno rovesciato rispetto alle politiche neoliberiste che hanno caratterizzato gli interventi degli ultimi decenni.

Si può e si deve fare in modo che l’evento disastroso dell’Italia centrale diventi l’occasione per “formare un nuovo sistema di cose” che recuperi e valorizzi, tra l’altro, anche gli interventi e le esperienze positive del precedente terremoto del 1997.

 

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