Disoccupati in Umbria: «Situazione peggiora»

Il presidente Ires Cgil Mario Bravi: «Dati Istat e Inps mostrano il crollo dei tempi indeterminati. Cambiare politiche del lavoro»

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Da 42 a 43 mila disoccupati, gli occupato scendono da 355 a 354, la percentuale dei Not engaged in education, employment or training (Neet, chi non studia né lavora tra i 15 e i 29 anni) passa dal 17,7% del 2016 al 19,5% del 2017. Sono gli ultimi dati rilevati dall’Istat, al primo trimestre del 2018: «Questi dati indicano che finita la politica degli incentivi alle imprese, crollano i tempi indeterminati, aumenta la disoccupazione ed è evidente che non si può costruire il futuro dell’Umbria e del paese sul lavoro povero e precario, e sulla assenza di lavoro», le parole del presidente dell’Ires Cgil Umbria Mario Bravi.

Mario Bravi

Il peggioramento Bravi, nel commentare l’andamento del lavoro in Umbria, parte elencando i dati principali dell’aggiornamento Istat: «Continua a peggiorare la situazione del mercato del lavoro in Umbria. L’Istat, dopo aver confermato contrazione del lavoro a tempo indeterminato nel 2017 e la conseguente espansione del lavoro precario e povero, indica anche per il primo trimestre 2018 un ulteriore peggioramento del quadro occupazionale con un incremento del numero di disoccupati di mille unità rispetto allo stesso periodo 2017, da 42 mila a 43 mila. Allo stesso tempo, gli occupati scendono da 355 mila a 354 mila. La forza lavoro potenziale (da aggiungere al numero dei disoccupati) si consolida a quota 26 mila, mentre la percentuale di Neet passa dal 17,7% del 2016 al 19,5% del 2017».

Su la disoccupazione Il presidente dell’Ires Cgil mette in evidenza «che l’Istat, nel rapporto, dice che ‘nelle regioni del centro, il tasso di occupazione cresce soprattutto in Lazio e Toscana (+1,0 e + 0,7). In queste regioni si riduce anche il tasso di disoccupazione che invece cresce in Umbria e rimane stabile nelle Marche’. I dati sull’Umbria relativi al periodo gennaio-dicembre 2017 sulla qualità dei contratti, forniti dall’Inps, sono un ulteriore campanello d’allarme. Ricordiamoli: assunzioni a tempo indeterminato 10.839, assunzioni a tempo determinato 60.952, stagionali 3.029, apprendistato 5.586, per un complesso di attivazioni pari a 80.406. Le cessazioni complessive sono state 76.551. Tenendo conto anche delle trasformazioni a tempo indeterminato da altri contratti, il complesso dei tempi indeterminati è pari a 15.776 il 19,8 % del totale, una percentuale più bassa della media nazionale che corrisponde al 23,2 %. Inoltre, il saldo sempre per quanto riguarda i tempi indeterminati è negativo. Infatti le cessazioni (18.665 ) sono superiori alle attivazioni sommate alle trasformazioni (15.776)».

Il record negativo «Sappiamo – prosegue Bravi – che il numero dei contratti non corrisponde al numero delle persone, che proprio per la estrema precarietà e durata temporale, sono costrette ad attivare più contratti, anche nell’arco di pochi mesi. D’altronde, dice ancora l’Inps, il 30% dei contratti ha una durata media di 1,4 giorni. Non a caso in Umbria nel 2017 e nel primo trimestre 2018 (dice l’Istat), ultimo dato certo e confermato, l’occupazione complessiva è diminuita. Inoltre, c’è da mettere in evidenza, che nel crollo dei contratti a tempo indeterminato (confronto 2016-2017), l’Umbria detiene il record negativo, con il calo più consistente (-16,3% di fronte ad un calo nazionale pari a -7,8%)».

Dignità e diseguaglianze E quindi, analizza Bravi, «questo dato relativo a tutto il 2017 e l’ulteriore aggiornamento relativo al primo trimestre 2018 confermano l’allarme occupazione in Umbria e l’esigenza di ridare dignità e diritti al mondo del lavoro, soprattutto giovanile. È infatti drammatica, all’interno del quadro generale, la condizione dei giovani umbri. In particolare, nella fascia 25-34 anni, che non si sovrappone quindi al periodo degli studi, il tasso di disoccupazione è al 15,3% e quello di inattività 20,2% (quindi il 35,5% dei giovani in questa fascia di età è fuori da qualsiasi processo produttivo) e i Neet (giovani che non studiano, né lavorano) sono 21.800. Questi dati indicano che finita la politica degli incentivi alle imprese, crollano i tempi indeterminati, aumenta la disoccupazione ed è evidente che non si puo’ costruire il futuro dell’Umbria e del paese sul lavoro povero e precario, e sulla assenza di lavoro. Come dimostra anche il recentissimo – conclude – rapporto della Banca d’Italia, nella nostra regione il problema lavoro ha due facce, quella quantitativa (sempre meno prospettive di lavoro) e quella qualitativa (il lavoro che c’è è sempre più povero e precario) e questo determina una crescita delle diseguaglianze tra territori, tra generazioni, con una crescita enorme della povertà relativa che supera l’11% (il che significa che oltre 90mila umbri si trovano in una condizione estremamente difficile). Da questa consapevolezza occorre ripartire per cambiare profondamente le politiche del lavoro in Italia e in Umbria».

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