Ast e archivio storico, non si alzi il muro

La stessa Ast ne garantisce l’accessibilità e la conservazione con proprio personale. Però c’è da registrare una tendenza all’arroccamento. Il corsivo di Walter Patalocco

Condividi questo articolo su

di Walter Patalocco

Un fondo importante l’archivio delle acciaierie di Terni. Una miniera di informazioni e, ovviamente, un forte stimolo ad avviare ricerche su una realtà che per oltre 130 anni ha costituito l’essenza di una intera città, e che per lo stesso lungo periodo ha determinato, giorno dopo giorno, la vita di ciascuno dei suoi abitanti.

Tanto per ricordare a sommi capi: la trasformazione di un piccolo centro sonnacchioso a città industriale; l’inurbamento rapido coi problemi collegati; il convergere in una piccola parte del sud dell’Umbria di culture, abitudini, mentalità diverse con tutti gli strascichi positivi e negativi che una rivoluzione del genere comporta.

Ed il rapporto col lavoro, la scansione degli orari modellati sui turni in fabbrica e non più sul salire e lo scendere del sole, il susseguirsi delle stagioni. L’economia, quella delle famiglie che in brevissimo tempo videro “il soldo diventare lira”.

Gli scioperi, le guerre, i bombardamenti, la qualità l’ambiente e perciò la salute… E tanto altro. Non ultimo le ripercussioni che l’inserimento in un circuito produttivo internazionale ha avuto sulla sensibilità generale della città costretta a misurarsi su terreni avanzati, ad affrontare problemi e questioni originatesi, magari, in luoghi lontani, diversi, a volte sconosciuti.

Ecco. C’è tutto lì, dentro a quell’archivio: la nascita della Saffat, i consigli di amministrazione, la decisioni prese, le difficoltà affrontate, documenti sulle visite del Re, dell’Imperatore d’Etiopia, dei mandarini, delle delegazioni degli stati più disparati. Una documentazione vasta e ricca, un patrimonio della città.

La parte che col passare del tempo aveva assunto più che altro valenza storica e documentaria, ai tempi della Finsider fu consegnata all’archivio di Stato di Terni, messa in mano esperta e specializzata, affidata a gente “del mestiere”, ma tutto è rimasto – come succede per qualsiasi documentazione di privati – di proprietà delle acciaierie.

Il padrone dei forni è padrone pure delle carte e ora, il padrone, ha deciso di riportarsi tutto a casa, per riunire quei documenti che vanno dal 1884 agli anni Trenta del Novecento in un’unica sede, insieme a quelli degli anni successivi.

La stessa Ast ne garantisce l’accessibilità e la conservazione con proprio personale. Quindi, in teoria, poco cambia. Però c’è da registrare una tendenza all’arroccamento, a rendere più alto il muro di cinta, e quello che è fuori è fuori.

Come se non esistesse una simbiosi, nata dalle tragedie e dai sacrifici affrontati da un’intera comunità che per parte sua ha avuto in cambio benessere e crescita in una specie di contratto tacito il quale, ormai, non può essere rotto unilateralmente e che si basa sul concetto che una fabbrica non è solo del padrone dei forni, ma pure del territorio sul quale si trova.

Un “tetesko di Cermania” dell’Ast era solito dire: “Noi a Terni facciamo l’acciaio da più di un secolo”. Altri tempi.

 

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli