«Cambiare il ‘Caos’ a partire dal nome»

Terni – il consigliere comunale Michele Rossi attacca: «Passato tutt’altro che inclusivo e presente nebuloso. Serve cambio di passo»

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di Michele Rossi
Consigliere comunale ‘Terni Civica’

La nostra coalizione politica si è proposta per dare alla città un cambio di passo e siamo stati eletti sull’onda di questa voglia di cambiamento. Coscienti che avremmo dovuto puntare tutto sulle idee, non potendo contare su adeguate risorse nelle casse comunali. In tutta onestà ho faticato alle volte a percepire il segno di questo cambiamento, può darsi che sia stato ancora troppo timido e che si tratti in ogni caso di un percorso difficile, ma alle volte si fa veramente fatica a vederlo.

Un caso eclatante è quello del nostro polo museale. Quel Caos che, fin dal nome, scoraggia i cittadini dal frequentarlo e non li spinge a viverlo come si dovrebbe. Caos è si l’acronimo che rimanda alle origini del luogo (l’Opificio Siri) ma porta alle mente soprattutto la confusione, la disarmonia, il disordine, l’agitazione. Difficile sentire una grande attrazione per tutto questo, tutti rifuggono dal Caos in se anche solo per pochi minuti. Ammettiamolo non si sta per niente bene nel Caos. Qualcuno potrebbe affermare che nel Caos c’è il principio creativo ma da questo deve poi scaturire qualcosa di chiaro e tangibile, se rimane un insieme confuso e disarmonico a nulla serve e soprattutto non piace proprio a nessuno.

Partendo da questo tipo di valutazione domandiamoci: in cosa si è trasformato il nostro ‘caos’ in tutti questi anni? Cosa ha prodotto di permanente nella nostra città? I più ricorderanno la continua ricerca della provocazione artistica, alcune volte sfociata in spettacoli di dubbio gusto e al limite della volgarità. Resterà soprattutto quella fastidiosa sensazione che valicando il cancello spesso si provava, come di entrare in un luogo tutt’altro che aperto e di tutti. Come se si fosse entrati in casa d’altri (scusi, è permesso?), con la premura di non disturbare troppo i padroni di casa. Un luogo culturale che invece di essere patrimonio comune della città e di tutti i suoi cittadini, capace di accontentare con iniziative e mostre temporanee i vari gusti culturali, è sembrato piuttosto ospitare solo ciò che era nelle corde dei suoi gestori, votati esclusivamente al solo contemporaneo sperimentale. In altre parole è mancata la vivacità e la varietà dell’offerta culturale che dovrebbe caratterizzare quel posto; con la sola eccezione del ben assortito menù del Fat.

Purtroppo a distanza di due anni la sensazione è ancora quella. E certamente non aiutano le recenti esposizioni di proiezioni, mentre altre opere d’arte rimangono ingiustamente ancora impolverate nelle rastrelliere dei magazzini in attesa del loro momento. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare quel posto ad iniziare dal suo nome. Dare il segno di avere una politica culturale senza lasciare tutto al buon cuore dei gestori ma dando indirizzi e programmazione che amplino l’orizzonte culturale della città senza limitarlo ai gusti ed alle preferenze dei custodi temporanei. Per questo ho intenzione di presentare, nei prossimi giorni, un atto di indirizzo a riguardo.

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