CamCom Terni, ricorso Flamini su gratuità incarichi respinto

Il presidente nel 2017 aveva chiesto l’annullamento della determina del ‘suo’ ente in merito ad indennità e gettoni presenza: il Tar ‘boccia’. La curiosa storia

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di S.F.

Un ricorso per bloccare una determina del segretario generale – né più né meno che una presa d’atto della disposizione del decreto legislativo del 25 novembre 2016 – dell’ente di cui è presidente. Può sembrare paradossale, ma è ciò che è accaduto in seno alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Terni: tutto a causa di questioni legate ad indennità, gettoni di presenza e rimborsi dei componenti degli organi camerali. A distanza di tre anni e mezzo per Giuseppe Flamini è arrivata la ‘bocciatura’ del Tar Umbria con tanto di spese di giudizio da pagare a favore della presidenza del Consiglio dei ministri.

I COMPENSI PRE DECRETO LEGISLATIVO – DOCUMENTO CAMCOM TERNI

Giuseppe Flamini

Il ricorso depositato nell’aprile 2017

Il numero uno della Camera di commercio di Terni aveva chiesto l’annullamento – previa remissione degli atti alla Corte costituzionale – della determina del segretario generale che, in sostanza, dispose che tutti gli incarichi di organi diversi dal collegio dei revisori dei conti andavano svolti a titolo gratuito. Ma non solo. Flamini all’epoca chiese la condanna dell’ente – si legge nella sentenza di merito del Tribunale amministrativo regionale – alla «restituzione dei compensi illegittimamente azzerati, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria, tenendo conto dell’ammontare degli emolumenti sino ad ora percepiti». A difenderlo l’avvocato Giuseppe Toscano del foro di Pisa.

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Giuliana Piandoro, il segretario generale, e Giuseppe Flamini

Cosa si contestava: le violazioni

Diversi i motivi portati all’attenzione dei magistrati. Si parla in particolar modo della «violazione e falsa applicazione degli articoli 5 e 120 della Costituzione, violazione del principio di leale collaborazione Stato-Regioni, del principio di sussidiarietà sotto il profilo della mancata intesa in sede di conferenza Stato-Regioni, dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione e di eguaglianza, con riferimento alla gratuità degli incarichi negli organi diversi dai collegi dei revisori, atteso che l’assenza di qualsivoglia retribuzione, a fronte di una prestazione comunque svolta dal titolare della carica in favore dell’amministrazione, andrebbe a pregiudicare l’efficienza dell’organizzazione dell’ente che si avvale di quella prestazione e pone seri dubbi di compatibilità costituzionale con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione». La camera di commercio di Terni non si è costituita in giudizio, la presidenza del Consiglio dei ministri sì: inutile il tentativo dell’avvocato Toscano – l’udienza si è svolta il 6 ottobre – di rinviare l’udienza.

Il Tar Umbria

Il Tar respinge: le ragioni

Non lascia spazio ad interpretazioni il giudizio del Tar: ricorso infondato e respinto. «La struttura associativa-territoriale delle camere di commercio, facendo da substrato – la motivazione – all’esercizio di funzioni generali pubblicistiche disciplinate dalla legge in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale ed alimentate da forme di prelievo parafiscale, tipiche dell’esercizio dei poteri autoritativi riconducibili all’ambito di applicazione del principio di legalità di cui all’articolo 23 della Costituzione, deve ritenersi ricompresa, per quanto riguarda la remuneratività dei relativi incarichi, nell’ambito della competenza legislativa statale ex articolo 117, comma 2, lett. g), della Costituzione, in materia di ‘ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali’». E dunque risulta «sconfessato l’assunto di parte ricorrente che vorrebbe ricondurre la gratuità dell’incarico in argomento nell’ambito dei meccanismi concertativi di leale collaborazione fra Stato, regioni ed enti locali». Inoltre viene specificato «che la disposta gratuità dell’incarico in argomento va inquadrata nell’ambito delle misure di coordinamento della finanza pubblica legittimanti come tali l’intervento statale ed in relazione alle quali la Corte Costituzionale si è più volte pronunciata affermandone la legittimità». A chiudere il cerchio il fatto che è «destituito di fondamento l’asserito vizio di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento rispetto ai diversi incarichi dei revisori dei conti, atteso che necessaria indipendenza di tali organi di controllo è garantita anche attraverso la previsione di un compenso per l’attività svolta». Una storia quantomeno curiosa.

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