‘Fase due’ Umbria, pressing imprese. Sindacati: «Lavoratori non sono cavie»

Da Confcommercio a Confartigianato fino alla Cna: ‘ribellione’ alle decisioni del Governo. Cgil, Cisl e Uil: «Quante imprese già pronte?»

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Associazioni di categorie umbre letteralmente inviperite per le decisioni del Governo in merito alla gestione della ‘fase due’. Tutte le principali organizzazioni rimarcano come l’Umbria non ‘meriti’ di vedersi applicati criteri nazionali che valgono anche per regioni con un’incidenza del virus notevolmente superiore. E giù critiche al premier Conte e al nuovo Dpcm.

SPECIALE CORONAVIRUS – UMBRIAON

Confcommercio: «Dal Governo una doccia fredda per l’Umbria»

Così Confcommercio Umbria: «Il rinvio della riapertura di negozi e pubblici esercizi, soprattutto qui, è irragionevole e produrrà danni gravissimi ad una economia già debole. Chiediamo alla Regione un atto di coraggio». Ad esporsi è il presidente Giorgio Mencaroni: «Le nostre imprese sono esasperate come non mai; sono pronte davvero a tutto, anche a proteste eclatanti. L’ulteriore rinvio della riapertura degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e di tante attività del turismo e dei servizi, annunciata domenica sera dal premier Conte, è inaccettabile. Soprattutto in Umbria, tra le regioni dove il contagio, secondo i dati comunicati da diversi giorni, ha avuto una minore diffusione, tanto da sembrare quella più quotata per una riapertura rapida. Le dichiarazioni del presidente del Consiglio sono state perciò una vera e propria doccia fredda per gli imprenditori umbri, che si stavano preparando mentalmente a riaprire, pur con le restrizioni necessarie a prevenire il contagio e garantire la salute di tutti».

TENSIONE GOVERNO-REGIONI SULLA ‘FASE 2’

Giorgio Mencaroni, Confcommercio

La perplessità e l’appello alla Tesei

Confcommercio sottolinea di non comprendere le scelte del governo: «Perché possono restare aperti i negozi di vestiti per bambini e non quelli per gli adulti che li accompagnano e devono comunque uscire di casa? Perché devono restare chiusi i negozi di mobili, dove il distanziamento può essere garantito in tutta sicurezza, fermo restando la possibilità di scadenzare adeguatamente gli appuntamenti per le consegne? Sono solo alcuni esempi dei molti che si potrebbero fare per dimostrare la incoerenza di scelte che hanno ricadute enormi sulle spalle delle imprese». Infine l’appello alla presidente della Regione Donatella Tesei: «Chiediamo un atto di coraggio. Gli imprenditori umbri, in questa gravissima situazione, davvero senza precedenti, stanno dando fondo a tutte le loro risorse; hanno bisogno, come l’aria, di una iniezione di fiducia, perché il rischio è quello di una paralisi definitiva per settori che in Umbria rappresentano una fetta importante dell’economia regionale. Se il governo nazionale non vuole o non può farlo, dovrà essere allora il governo regionale ad ascoltare l’appello di migliaia di piccoli imprenditori che mai come in questo momento hanno bisogno di sentire vicino una classe politica lucida, in grado di prendere le decisioni giuste per l’emergenza che stiamo vivendo e di assumersi le proprie responsabilità».

Roberto Giannangeli, CNA Umbria

Cna Umbria: «La protesta rischia di trasformarsi in rivolta»

«Inaccettabili, letteralmente inaccettabili. Non troviamo altri termini per definire le dichiarazioni di ieri sera, in diretta televisiva, del presidente del Consiglio che ancora una volta rinvia a un calendario ipotetico, del quale peraltro non c’è traccia nel decreto emanato, la riapertura di alcuni settori, tra cui il piccolo commercio al dettaglio e soprattutto i servizi alla persona. Dire ad un’impresa, indipendentemente dal settore in cui opera che potrà riaprire a partire dal 18 maggio oppure, ancor peggio, dal 1° giugno, equivale a una condanna certa di chiusura». Roberto Giannangeli, direttore di Cna Umbria, non nasconde la profonda delusione per la posizione assunta del Governo, la grande preoccupazione per la sorte di interi comparti economici e, al tempo stesso, la paura per la tenuta sociale della collettività. Le attività che in Umbria saranno costrette a restare chiuse anche dopo il 4 maggio sono circa 20 mila, il 25% del totale, con il rischio di perdere circa 50 mila posti di lavoro tra titolari e dipendenti. Alla paura per il contagio e allo stress per la reclusione in casa che perdura da oltre un mese, in queste ore si sta diffondendo il timore di non riuscire a riaprire fra un mese. «Tanti imprenditori, con le loro famiglie e i loro dipendenti, non possono permettersi il lusso di continuare a vivere senza lavorare. Come è possibile che non si capisca che, essendo ormai chiaro che con questo virus dovremo convivere almeno fino a quando non sarà trovato un vaccino, ovvero anche fra più di un anno, l’unica cosa sensata da fare è quella di individuare il modo di tornare a lavorare limitando al massimo le possibilità di contagio? Non esistono altre strade, bisogna solo applicare i protocolli di sicurezza già predisposti alle varie tipologie di attività. Il Governo ci sembra che non si stia rendendo conto dei rischi sociali, oltre che economici, di questa decisione. Mentre molti Paesi, anche in Europa, sono riusciti a contenere i contagi e le morti senza distruggere il proprio tessuto economico, da noi l’unica strategia che si continua ad attuare, a due mesi dall’inizio dell’emergenza, è quella di bloccare l’Italia. Il nostro appello – conclude Giannangeli – continua ad essere quello di far riaprire tutte le imprese, senza distinzioni. Perché la protesta si potrebbe trasformare in rivolta».

Confartigianato Imprese Umbria: «Paradossale e deleterio»

Critiche anche da parte di Confartigianato che, nel commentare gli sviluppi sulla ‘fase due’, ritiene «paradossale e deleterio per l’economia regionale il fatto che l’Umbria, la regione con la minore incidenza del contagio, sia del tutto indifferente e in atteggiamento passivo di fronte alle iniziative praticamente di tutte le regioni del nord e del centro che stanno cercando una strada autonoma per rispondere alle esigenze economiche di riapertura in piena sicurezza delle attività. I danni che ogni ora si producono alla rete delle imprese umbre sono impressionanti e stanno ponendo una ipoteca sul nostro futuro. Occorrono interventi e certezze per anticipare le riaperture di tutte le attività umbre in sicurezza. Invece non otteniamo risposte nemmeno sulle questioni più semplici. Confartigianato in Umbria ha richiesto alla presidente della giunta regionale, Donatella Tesei, una ordinanza per riattivare da subito, quindi prima del previsto 4 maggio l’attività di vendita per asporto da parte di Bar, Ristoranti, Pizzerie, Pasticcerie, Gelaterie, Rosticcerie ecc. Ordinanze di questo tipo sono già in vigore in Toscana, Marche, Veneto, Emilia Romagna, Liguria, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, tutte regioni che hanno una incidenza del contagio superiore rispetto all’Umbria. Tale possibilità nella piena sicurezza sanitaria garantita da alcuni semplici accorgimenti consentirebbe un riavvio immediato di almeno una parte dell’attività economica delle imprese del settore alimentare. Anticipare di una settimana la vendita per asporto è perfettamente possibile considerato che sette regioni hanno già proceduto in tal senso. In Umbria significherebbe evitare una parte degli ingentissimi danni giornalieri che si verificano a discapito dei settori economici sopra indicati. Gli imprenditori dell’Umbria – spiega Confartigianato Imprese – stanno soffrendo la permanenza di limitazioni eccessive e spesso non giustificate dalla situazione epidemiologica all’attività d’impresa: è possibile limitare i danni a queste imprese con un semplice atto amministrativo immediato».

Sgalla, Manzotti, Bendini

I sindacati controbattono: «Le aziende a che punto sono? Lavoratori non sono cavie»

Fuori dal coro i sindacati confederali – Cgil, Cisl e Uil – che pongono un altolà ai datori di lavoro: «Osserviamo con crescente preoccupazione il ripetersi di interventi a mezzo stampa da parte dei rappresentanti delle associazioni datoriali regionali che chiedono forzature e accelerazioni sulla riapertura di attività economiche, in netto contrasto con le normative nazionali e senza alcun conforto scientifico». Ad affermarlo sono i tre segretari generali dell’Umbria, Vincenzo Sgalla (Cgil), Angelo Manzotti (Cisl) e Claudio Bendini (Uil). «Appena venerdì scorso abbiamo siglato insieme alla Regione un accordo sulla ‘fase due’ che è molto chiaro – spiegano -. Gradualità e cautela nella ripartenza, perché al primo posto c’è la salute di chi lavora. Di quell’accordo chiediamo il pieno rispetto, quindi vorremmo che le nostre controparti prestassero molta più attenzione anziché ai tempi, che sono già fissati, alle modalità con cui la ripartenza dovrà avvenire. Ci chiediamo infatti – aggiungono Sgalla, Manzotti e Bendini – se tutte le imprese che vorrebbero riparte da subito siano già pronte con i dispostivi di sicurezza, con i test, con la misurazione della temperatura, con i distanziamenti. Deve essere chiaro che le lavoratrici e i lavoratori dell’Umbria non vogliono essere le cavie di nessun esperimento. Per cui si lavori, nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge, ad una ripartenza in massima sicurezza, per il bene e la salute dell’intera comunità».

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