Economia: il ‘cianuro’ dei tassi per domare l’inflazione. Recessione inevitabile conseguenza

La fase di ‘frenata’ che stiamo vivendo non è ancora conclusa. Dubbi, domande e risposte dell’esperto Gianni Giardinieri

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di Gianni Giardinieri
Senior Financial Advisor presso Allianz Bank

Gli italiani lo sanno bene (e con loro buona parte dei cittadini del mondo): sale il prezzo del latte, della carne, della frutta. Salgono anche i prezzi delle autovetture, delle prestazioni sanitarie, dei servizi in genere. Il fenomeno ha un nome preciso: inflazione. Sconosciuta fin qui ai millennials, vagamente identificata dai trentenni/quarantenni, ben presente ai cinquantenni e amica di vecchia data delle generazioni oltre i sessanta. Di sicuro una vera iattura, perché erode il potere d’acquisto di tutti, indistintamente, tanto che viene chiamata dagli economisti la ‘tassa silente’. C’è, è tangibile, compare spesso all’improvviso ed è dura a morire. L’ultima ‘ondata’ è ancora tra noi, anche se sono solidi i segnali di un forte rallentamento.

Tutto comincia negli Stati Uniti nella primavera del 2021 (ma lo capiremo molto dopo), quando l’indice dei ‘prezzi al consumo’, che misura l’inflazione, comincia dapprima blandamente, poi impetuosamente, a salire. Prima di allora, per moltissimi anni (almeno una decina), il mondo è stato abituato non soltanto a non vederne traccia, ma a scoprire il suo alter ego: la deflazione, il fenomeno per cui i prezzi scendono anno su anno.

Poi arriva il Covid, la grande pandemia. Si teme un gigantesco crack economico dovuto alla totale assenza di consumi. Le banche centrali (FED e BCE) decidono per politiche monetarie ultra espansive: tassi zero sui prestiti, soldi facili. Il titolo di Stato tedesco di durata 10 anni arriva ad avere un ‘rendimento’ negativo (paradosso) di quasi l’1%: si acquistano titoli, prestando i propri soldi al governo teutonico, per averne in cambio, dopo dieci anni, il 10% in meno. Quasi il 60% del debito pubblico mondiale arriva ad avere rendimenti negativi. Poi si ‘riapre’ tutto: concessionarie di auto, ristoranti, grandi magazzini. Parte un ‘effetto molla’ gigantesco: un anno e mezzo di consumi compressi (la gente chiusa in casa spende i soldi solo per serie tv) deflagrano in una violentissima ripartenza, tutti vogliono tornare a fare la vita di prima.

Ma nel frattempo le aziende hanno chiuso linee produttive, fermato le macchine, sospeso investimenti: il loro personale è anch’esso a casa. I piazzali di auto invendute sono pieni. L’imperativo è semplice: consumare le enormi scorte accumulate. Nel giro di pochissimi mesi i magazzini si svuotano e con loro si esauriscono le linee ‘di trasmissione’ degli approvvigionamenti. Manca tutto, materie prime, pezzi di ricambio, infrastrutture. Era tutto chiuso. Non si riapre una linea di produzione in quindici giorni. E allora arriva la più dura delle leggi di mercato: quella della domanda e dell’offerta. La prima è enorme, la seconda è poca e si esaurisce con la fine delle scorte. Se ci sono poche autovetture ancora in vendita, ad esempio, per sostenere i ricavi la strada è solo una: alzarne il prezzo per aumentare il margine di utile. E’ come un grande fuoco preparato da tempo nel camino di casa: c’è la legna, c’è la diavolina, ci sono i legnetti. Anni di politiche monetarie volte solo a pompare denaro hanno preparato il falò. Manca solo il fiammifero, la scintilla. Oggi sappiamo che è stato il Covid, anzi per meglio dire la riapertura post pandemia.

Quando è già troppo tardi, quelle stesse banche centrali che avevano inizialmente sottovalutato i primi segnali di inflazione, convincendo tutti della ‘temporaneità’ del fenomeno, si rendono conto di aver sbagliato e fanno quello che ognuno di noi farebbe viaggiando a 200 km/h: frenano. Violentemente e brutalmente (e probabilmente compiendo un altro errore). E il freno a disposizione si chiama ‘tasso di sconto’: in pratica, il costo del denaro. Prendere denaro a prestito diventa più costoso, ogni mese di più. I mutui hanno tassi più alti e con loro i finanziamenti di ogni genere. L’obiettivo è chiaro: stroncare l’inflazione inducendo una recessione economica. Se il costo del denaro aumenta, pagare gli interessi sarà più salato. Quindi sarà più difficile acquistare una casa, un’autovettura, un elettrodomestico. Di conseguenza si contrarrano i consumi e si genererà una recessione. Questo è il ‘piano’ attualmente in svolgimento. Ha funzionato? L’inflazione è scesa sensibilmente, anche se ancora persiste, ma di recessione se ne vede ancora poca. Perché? La risposta è meno complicata di quanto si possa pensare: quando spingi sul freno, la macchina non si ferma all’istante, c’è il famoso ‘spazio di frenata’. Ecco, ora stiamo vivendo economicamente quei metri di asfalto che ci separano dall’arresto.

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