Mense a scuola, carenze diffuse

Dal Rapporto ‘(Non) Tutti a Mensa! 2016’ di ‘Save the children’, emergono disparità sia riguardo i criteri di accesso che per le modalità di erogazione

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In Italia il 40% degli istituti scolastici principali è sprovvisto di una mensa e anche lì dove esiste spesso il servizio di refezione scolastica presenta gravi carenze sia riguardo i criteri di accesso che per le modalità di erogazione. Una situazione disomogenea e priva di regole condivise emerge dal nuovo Rapporto ‘(Non) Tutti a Mensa! 2016’, un monitoraggio realizzato per il quarto anno consecutivo da ‘Save the children’ nell’ambito della campagna ‘Illuminiamo il futuro’.

Il rapporto di ‘Save the children’ prende in esame la proposta di refezione scolastica per le scuole primarie di 45 Comuni capoluogo di provincia con più di 100 mila abitanti, valutando tariffe, esenzioni, agevolazioni e trattamento delle famiglie morose. Secondo il rapporto, l’assenza delle mense nel nostro Paese è molto preoccupante: in alcune regioni del sud ne è privo un istituto su due. La percentuale tocca infatti il 53% in Puglia, il 51% in Campania e il 49% in Sicilia. La situazione non è critica solo nel Mezzogiorno, anche nelle regioni del nord infatti, quasi un terzo degli istituti scolastici principali ne è sprovvisto, come in Veneto (32%), Liguria (29%), Lombardia (27%), Piemonte (27%).

Le Regioni Dove le mense sono presenti, desta preoccupazione anche il dato sull’accesso dei bambini delle primarie e secondarie di primo grado, che sottolinea maggiormente la disparità tra nord e sud dell’Italia. La Sicilia, infatti, detiene il tasso più alto di bambini che non hanno accesso al servizio di refezione scolastica. Quattro bambini siciliani su cinque non ne usufruiscono (80%). Seguono Puglia (73%), Molise (70%), Campania (65%), Calabria (63%), Abruzzo (59%), Marche (57%), Umbria (54%). Ben 8 le regioni nelle quali più di un alunno su due nelle scuole primarie non fa uso della mensa. Il Trentino Alto Adige è invece la regione con solo l’11% di bambini che non ne usufruisce, seguita da Piemonte e Liguria (28%), Val D’Aosta (29%) tutte sotto il 30%. Undici Comuni su quarantacinque non garantiscono a tutti un’esenzione specifica, legata al reddito, alla composizione del nucleo familiare o a motivi di carattere sociale. Otto di questi undici prevedono la possibilità di esenzione solo dietro segnalazione dei servizi sociali, mentre i tre Comuni di Bolzano, Padova e Salerno, non prevedono eccezioni. I rimanenti trentaquattro Comuni che le applicano, non seguono dei criteri uniformi. La metà dei Comuni intervistati (26) pone la residenza come requisito essenziale per le agevolazioni sulle tariffe delle mense.

Il servizio mensa «Dall’anno scorso, alcuni Comuni hanno fatto dei passi in avanti», spiega Raffaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di ‘Save the children’. «Anche il quarto Piano nazionale infanzia ha riconosciuto la mensa come livello essenziale delle prestazioni sociali ed ha come primo obiettivo quello di garantirla gratuitamente a tutti i bambini in condizioni di povertà certificata. Senza adeguati investimenti, il Piano rischia di rimanere lettera morta e in questo senso ancora molto rimane da fare per garantire un accesso equo ed indiscriminato alla mensa a tutti i minori, soprattutto a quei bambini che versano in condizioni di povertà estrema, che in Italia sono ben un milione e 131 mila». Pensando che «il 5,6% di bambini e ragazzi – un bambino su 20 – non consuma neppure un pasto proteico adeguato al giorno, è facile comprendere quanto sia fondamentale che il servizio mensa a scuola venga garantito a tutti i bambini e che sia offerto in modo assolutamente gratuito alle fasce più disagiate, per le quali è spesso l’unico pasto completo, diventando così uno strumento di contrasto alla povertà minorile». La presenza della mensa è «strettamente collegata a quella del tempo pieno nelle scuole. Affiancando i dati Istat sulla dispersione scolastica, si è notato come la presenza oppure no di questi due servizi negli istituti, sia fortemente correlata alla sua incidenza. Emerge così che regioni come Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, con la più alta percentuale di alunni che non usufruisce del servizio mensa, sono le stesse dove la mancanza di tempo pieno e la dispersione scolastica sono più diffusi». La mensa non è solo un servizio, «ma rappresenta uno strumento di inclusione e socializzazione per tutti i minori. Il contrasto alla dispersione scolastica passa anche da questo servizio che dovrebbe essere presente, anche per garantire il tempo pieno, in ogni scuola».

Le tariffe Secondo il rapporto ‘(Non) Tutti a Mensa! 2016’, la disomogeneità delle tariffe delle mense nelle scuole primarie è trasversale tra tutte le regioni italiane. Prendendo in considerazione le tariffe massime e le minime di alcune città italiane, è possibile evidenziare come spesso si creino delle sovrapposizioni. Se ad esempio, a Catania è la tariffa massima a prevedere un costo di 2,3 euro, a Taranto quasi lo stesso costo (2,15 euro) è contemplato per la tariffa minima. Per le fasce più disagiate, (cioè le famiglie con un Isee 5.000) e con tre figli iscritti al servizio mensa, ad esempio, si riscontra che la tariffa pagata per il terzo figlio in alcuni Comuni come Bergamo e Modena, arrivi anche a superare i 4 euro. Solo 15 Comuni su 45 garantiscono l’esenzione totale dal pagamento dalla retta per il terzo figlio appartenente a questa tipologia di famiglie. Per contro, se una famiglia ha un unico figlio ed un Isee di 25.000 euro a Catania, il costo della mensa è di 2,3 euro, la fascia massima prevista in questa città. Mentre la stessa simulazione per una città come Livorno, vedrà applicata una tariffa di ben 6,71 euro. 17 Comuni su 45 prevedono una retta superiore ai 100 euro al mese per le famiglie con un figlio unico e un reddito più alto, in media 5 euro a pasto. Inoltre, i Comuni di Bergamo, Forlì, Parma riferiscono che circa il 100% del costo è a carico delle famiglie, mentre nei Comuni di Siracusa, Reggio Calabria e Andria, le famiglie coprono rispettivamente solo il 20%, 31% e 32% della spesa.

Le differenze In tutti i Comuni intervistati sono previste riduzioni tariffarie, ma sono applicate in maniera totalmente varia. 40 Comuni su 45 applicano le agevolazioni su base economica, ponendo ognuno una soglia Isee differente; 35 Comuni modulano le tariffe anche a seconda della composizione familiare; 13 Comuni anche sulla base di disagi sociali o segnalazione dei servizi; infine 4 Comuni riducono la tariffa anche per i nuclei familiari con disabilità. Queste differenze di tariffe e di accesso in alcuni casi hanno portato le famiglie ad autoescludere i propri figli dal servizio e a provvedere in autonomia al pasto dei bambini. Secondo Raffaela Milano, «la mensa, oltre a diffondere buone pratiche alimentari che prevengono obesità e malnutrizione, è un momento importante di educazione alla convivialità e al rapporto con gli altri. La pratica del pasto portato da casa, per quanto rappresenti una libera scelta da parte dei genitori allorché le rette delle mense siano troppo onerose o la qualità del servizio non adeguata, potrebbe far nascere discriminazioni tra i bambini che consumando alimenti preparati in famiglia, non possono mangiare a mensa con gli altri».

Cattive prassi Nell’ultimo periodo, spiega Antonella Inverno, responsabile Policy e Law di ‘Save the children’, «si è assistito al proliferare di cattive prassi dei Comuni relative alla esclusione dalla refezione scolastica dei bambini figli di genitori in ritardo con i pagamenti. Su 45 Comuni, 9 hanno confermato la sospensione del servizio mensa per quei bambini che provengono da famiglie in situazione di morosità, mentre gli altri 36 non si rivalgono sugli alunni in caso di insolvenza, ma attivano una procedura di recupero crediti senza la sospensione del servizio». Le disparità di trattamento tra i Comuni «possono causare effetti discriminatori sui bambini. Il criterio della residenza per esempio, spesso penalizza famiglie che vivono nei dintorni delle città e che sono meno abbienti. Inoltre, la risposta delle amministrazioni di fronte ai genitori in ritardo con i pagamenti, anche questa totalmente disomogenea, spesso stigmatizza ed esclude i bambini le cui famiglie non hanno avuto la possibilità di pagare la retta, in totale contraddizione con le finalità educative e sociali della mensa stessa».

In Umbria Un tema, questo, molto ‘caldo’ in Umbria. A Perugia, per esempio, dopo più di un anno di battaglie, assemblee infuocate, proteste, comunicati stampa, diffide e dibattiti interminabili su Facebook, genitori e sindaco Romizi hanno trovato un accordo per formalizzare un percorso di condivisione. A Terni, invece, la discussione è ancora aperta. A pochi giorni dalla scadenza dell’attuale appalto, tutto è pronto per la nuova gara per il servizio di refezione scolastica, ma genitori, Comune e sindacati continuano a farsi la ‘guerra’.

‘Save the children’ «Riconoscendo il valore sociale ed educativo della mensa scolastica, ‘Save the children’, oltre a monitorare situazioni concrete sul territorio, sostiene le proposte di legge sul tema presentate sia alla Camera che al Senato, che mirano a garantire un accesso equo al servizio e la gratuità per le famiglie in condizione di povertà certificata». Per garantire pari opportunità di accesso alla mensa in tutto il territorio italiano, «è necessario un serio investimento; per questo ‘Save the children’ preme perché siano attivate tutte le risorse necessarie, a partire da quelle destinate alle zone che ne necessitano maggiormente. In questo senso, nonostante le continue sollecitazioni da parte dell’Organizzazione, a distanza di due anni le risorse del Fondo europeo di aiuto agli indigenti (Fead) non sono ancora state spese».

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