Perugina, gli ‘esuberi’ chiedono aiuto a Luisa

Vertenza Nestlé, dopo aver incontrato le istituzioni i dipendenti a rischio in ‘pellegrinaggio’ nel primo laboratorio Spagnoli, al centro di Perugia

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Sono passati oltre 110 anni da quando Luisa e Annibale Spagnoli aprirono la loro confetteria in via Alessi, con negozio fronte strada e laboratorio sul retro. Il cioccolato sarebbe arrivato una decina d’anni dopo, il Bacio nel 1922. Ma era il primo germe della Perugina. Qui si sono ritrovati alcuni dei dipendenti a rischio, che in questi giorni stanno incontrando le istituzioni per chiedere un ‘colpo di mano’ dopo la firma dell’accordo che sembrerebbe aver chiuso la vertenza con Nestlé.

IL ‘PELLEGRINAGGIO’ DEGLI OPERAI NELLA PRIMA SEDE DELLA PERUGINA – VIDEO

L’ingresso sul retro (nel cortile della pizzeria)

La visita Luisa non era presente nella società, rappresentata dal marito Annibale Spagnoli. Ma la madre della Perugina per tutti è lei. E da lei sono venuti in ‘pellegrinaggio’ i dipendenti, per omaggiare il primo germe di una storia imprenditoriale che ora vive momenti bui, almeno a guardarla dal punto di vista di chi vi ha lavorato per anni e ora si sente trattato come un peso. Lì dove nascevano i primi confetti, nel laboratorio sul retro, ora c’è una pizzeria. Dove c’era il negozio, su via Alessi, è tutto sbarrato e impolverato. Nemmeno una targa fronte strada, a ricordare la storia che fu: è stata posizionata sul retro, quasi a nasconderla. Un particolare che dà la misura di come Perugia non abbia mai saputo valorizzare questa storia fantastica.

Memoria tradita Il concetto della (scarsa) comunanza fra la città e l’azienda che da essa prende il nome emerge anche nella chiacchierata con gli operai: «Terni si è barricata per le acciaierie, per i suoi operai per i suoi lavoratori; Perugia non lo ha fatto per la Perugina; forse perché qui siamo più borghesi?», commenta amaro un dipendente. E subito la memoria corre alla ‘mobilitazione’ di piazza Matteotti, che in realtà mobilitazione non fu: tanti operai (ma non tutti), tanti sindacalisti, tanti rappresentanti politici, ma pochi, pochissimi cittadini. Come se a Perugia, della Perugina, non importasse a nessuno. Una riflessione che viene fuori quando si comincia a ipotizzare la possibilità di fare una manifestazione eclatante, che coinvolga tutta la città. «Ma senza i sindacati, però: faremo tutto da soli».

LA STORIA DELLA PERUGINA (DAL SITO UFFICIALE) – LINK

La targa

Appello estremo Nella traversa di via Alessi, radunato davanti al cancello della pizzeria, c’è il gruppo che ha appena incontrato il sindaco Romizi e che probabilmente nei prossimi giorni incontrerà Catiuscia Marini per chiedere una presa di posizione netta da parte delle istituzioni nei confronti dell’azienda. Qualcosa di clamoroso che impedisca il compimento dell’accordo, che loro – e lo dicono con forza – non approvano e non riconoscono. Ci sono papà e madri di famiglia, che a San Sisto hanno trascorso gli ultimi 20-30 anni della loro vita e ora chiedono ai loro rappresentanti di farsi sentire: «La politica ha utilizzato San Sisto come serbatoio di voti e favori per decenni e ora che sta finendo tutto se ne disinteressa?».

Gli errori della multinazionale «Ho amici che da New York mi mandano foto col Bacio Perugina». Però all’estero – denunciano gli operai – conoscono solo il Bacio classico (quello con la carta argentata), gli altri tre nemmeno sanno che esistono. «Perché non sono stati pubblicizzati?», si chiedono. La politica industriale di Nestlé, a livello mondiale, secondo loro ha penalizzato fortemente Perugina, tarpando le ali di un possibile sviluppo ai prodotti che venivano fatti a San Sisto e che ai consumatori piacevano. «Ci sono state scelte di mercato sbagliate, in tanti ci chiedono perché non ci sono più certi cioccolatini e perché i prodotti che facciamo a San Sisto non vengano adeguatamente promossi nella rete di vendita».

La protesta

«Trattati come pacchi» Facile dire che ora i lavoratori sono troppi: il problema – secondo i dipendenti di San Sisto – è che sono stati dismessi prodotti che potevano essere vincenti sul mercato, se solo la multinazionale ci avesse creduto (li conosciamo tutti: le caramelle Rossana, i biscottini Ore Liete, oltre agli innumerevoli cioccolatini aromatizzati che sono nella memoria dei consumatori italiani). «Ci hanno spremuto per 25 anni senza lasciarci nulla e ora ci trasferiscono come dei pacchi». Dopo i prodotti ‘secondari’, anche gli operai vengono ceduti: in 81 – volente o nolente – andranno a lavorare in altre aziende del territorio con un bonus di 60mila euro (di cui 30 vanno a chi accetta di togliere il disturbo). Se rifiutano perdono la cassa integrazione.

La cooperativa affossata C’era stato chi aveva provato a resuscitare i vecchi cioccolatini: ex dirigenti che si proponevano per rilevare operai in esubero producendo marchi dismessi secondo la logica del workers buyout: «Non si capisce perché hanno buttato via quella proposta, che veniva da persone che hanno amato la Perugina e volevano provare a salvarne i prodotti storici e i lavoratori». Una storia che umbriaOn ha ampiamente raccontato e che si è scontrata contro il rifiuto della multinazionale di cedere gratuitamente i marchi e il brand Perugina. Gli stessi ex dirigenti denunciano che le istituzioni li lasciarono soli: «Dovevano muoversi prima, ora è troppo tardi».

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