Religione e politica: «Troppe ‘semplicità’»

Terni, Luca Diotallevi – in un incontro preparatorio all’assemblea generale dell’azione cattolica – mette in guardia contro il populismo e sollecita i laici cattolici a prendere posizione

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In questi giorni si conclude il percorso nazionale verso la 16esima Assemblea generale dell’Azione Cattolica Italiana che si terrà a Roma alla fine di aprile. Il 2017 coincide con il 150esimo anniversario della fondazione della Associazione che ha contribuito alla crescita di generazioni di laicato cattolico.

L’Assemblea diocesana In questo quadro si colloca l’Assemblea diocesana dell’Azione cattolica di Terni-Narni-Amelia che in vista di tale appuntamento ha messo a punto un documento con cui accompagnare la riflessione delle realtà parrocchiali e diocesana e in cui «desideriamo confermare l’impegno per il prossimo triennio a perseguire alcuni obiettivi del nostro cammino: l’impegno per la vita delle parrocchie; l’ascolto della parola di Dio; la preghiera come dialogo con Dio e strumento di comunione ecclesiale attraverso la comprensione sincera ed intelligente della liturgia; la celebrazione della Eucarestia, valorizzandone il carattere mistico e sociale; il sostegno alla fede delle persone più anziane sulle quali grava il peso di un cambiamento epocale; l’accompagnamento e l’attenzione verso i più giovani».

‘La Chiesa di Francesco nel mondo di Trump’ Venerdì pomeriggio, al Cenacolo San Marco di Terni, l’Azione Cattolica Diocesana ha organizzato un incontro, al quale ha partecipato il professo Luca Diotallevi docente di Sociologia all’Università di RomaTre, «per provare a leggere insieme questo nostro tempo, il tempo della nostra chiesa locale e il tempo delle nostre città. Un tempo di una nuova responsabilità, di nuove ambizioni, di una nuova volontà di lavorare insieme. E’ ancora il tempo di una comune responsabilità per il futuro della città, una responsabilità molto lontana dalla riluttanza unita ad un senso generale di pigrizia a rinnovare la vita ecclesiale e civile che vediamo prendere il largo nelle nostre comunità cittadine».

Il populismo I ceti medi, ha detto Diotallevi, «si sentono da qualche anno privati di certezze e di possibilità, sia materiali che immateriali, in precedenza date per scontate. A questo fatto un grandissimo numero di individui ha reagito, e continua a farlo, abboccando alle promesse più improbabili e sostenendo con disperata irrazionalità le forme più estreme di protesta». E anche «la presidenza Trump sarebbe conseguenza – e gigantesca – del dilagare di ciò che non senza ragioni viene ormai comunemente chiamato ‘populismo’», il quale «conduce gran parte della sua guerra alla varietà, ai limiti, alla responsabilità, alla trasparenza, alla formalizzazione di ciascun potere, attraverso gli strumenti forniti dalla rete (da internet). Tuttavia, di per sé, il web non ha nulla di oscuro, di immediato, di puramente orizzontale. Il web è solo abbastanza complesso da poter essere strumentalizzato – da Putin o dalla Casaleggio & associati – al fine di sottrarre trasparenza e imputabilità al potere, proprio mentre il pubblico viene illuso del contrario». 

La Chiesa Secondo Diotallevi, «Papa Francesco fa fatica a promuovere la riforma della curia vaticana e tende a presentarsi come capo della opposizione piuttosto che come titolare responsabile del munus gubernandi. Francesco giustamente denuncia la riduzione della fede a formulazioni dottrinali, ma nel contempo non procede ad una compiuta riformulazione della funzione della dottrina sulla strada indicata ed aperta dal Concilio (sicché non si riesce a comprendere quale peso ad esse debbano dare i credenti); Francesco, di fronte ai problemi posti dalla polverizzazione interna del cattolicesimo e della Chiesa (trainata da movimenti, prelature e segmenti di religiosità popolare), sembra preferire soluzioni che legittimano questa estrema varietà, nella pratica non agevolando il compito di chi difende o semplicemente crede nelle ragioni della forma ecclesiale del cattolicesimo e nel primato della Chiesa diocesana affermato dal Concilio; nel suo abbondante magistero “sociale”, quando non torna esplicitamente a raccomandare lo Stato (dal quale tutti dovrebbero attendersi “terra, tetto e lavoro”), Francesco quasi esclusivamente si concentra sul corto raggio delle azioni individuali trascurando invece il ruolo delle istituzioni ed il valore di chi vi opera e tenta di riformarle; infine, Francesco continua a proporre una nozione di popolo, magari suggestiva, ma scarsamente realistica».

La ‘semplicità’ Diotallevi, poi, inserisce nella sua riflessione alcuni spunti decisamente ‘forti’: «Nell’insieme, la strategia pastorale di Francesco appare marcata da una forte istanza di semplificazione della Chiesa e del credere. Nell’insieme, e certo provvisoriamente, sembra che nella Chiesa al tempo di Francesco trovano grande eco le ragioni della rabbia e del risentimento diffusi, matura un disimpegno dal processo di riconfigurazione del “mondo” come della civitas globale (concedendo qualcosa in più alla nostalgia per il “mondo” che ci stavamo lasciando alle spalle che non alla fiducia in quello che stava cercando di sostituirgli), cresce il consenso per una strategia di semplificazione della prassi pastorale e più in generale della autocoscienza cristiana. Ammesso e non concesso di aver compreso gli effetti desiderati ed indesiderati dell’orientamento di Francesco, è difficile dire se Francesco intenda le sue scelte come tattica o come strategia. Certamente c’è da credere che anche lui è ben consapevole che, se la fase in corso si protraesse oltremodo, l’effetto sarebbe non solo quello della perdita di rilevanza pubblica della fede e della Chiesa, ma quello, ancora più grave, di una atrofia della autocoscienza della fede e della Chiesa e dunque della loro qualità spirituale e vitalità. Come è già avvenuto per la più grande porzione del cristianesimo contemporaneo: quella pentecostale e carismatica, la deriva di semplificazione appena segnalata ridurrebbe il cattolicesimo stesso ad una innocua ‘religione a bassa intensità’, ad un insieme di beni e servizi religiosi prodotti e distribuiti da clero e paraclero in un regime di de-ecclesializzazione, beni e servizi offerti ad un nuovamente vorace mercato estramente volatile di consumatori religiosi ad alto arbitraggio individuale. Indipendentemente dalle intenzioni, nella Chiesa al tempo di Francesco monta la illusione letale che questa brama di semplificazione serva a conferire centralità alla misericordia, mentre in realtà le nuoce. Questa brama di semplificazione nulla ha a che vedere con il respiro della “civiltà dell’amore” di Paolo VI, con la sensibilità al “soprannaturale” che si dà nella storia cui richiamava Sturzo, con la “scioltezza” cui educava Martini, con la “semplicità” intelligente di Francesco d’Assisi».

Cosa fanno i laici cristiani? Una domanda – e soprattutto la risposta che si dà Diotallevi – sono però destinate a (la cosa peraltro è auspicabile) far nascere un dibattito: «Anche a Terni, la domanda cruciale – dice Diotallevi – non è quella su cosa farà il clero, ma è un’altra. Noi laiche e i laici cristiani di oggi, e anche di Terni, ce la facciamo a portare tutto questo peso? Siamo adeguati a corrispondere alla tensione secolare? E la risposta è no. Non non ce la possiamo fare, a meno che non facciamo di questa debolezza una verità ammessa con franchezza e dunque spazio interiore e comunitario di una forza – quella della Grazia – che non ci si può dare, ma cui si può corrispondere, come seppe Paolo e tanti altri dopo di lui: sino a Sturzo, De Gasperi, Frassati, Bachelet, Suriano, D’Acquisto, i ribelli per amore, e Livatino. Lungo queste orme ci si gode il Vangelo e si resiste al fascino della mondanità, foss’anche religiosa ed ecclesiastica».

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