Sequestri per mafia a Terni: «Sono finito»

A 10 anni dal provvedimento, fra sentenze e dietrofront, va avanti il processo a Paolo Faraone: «Sequestri annullati ma tutto mi è stato già confiscato»

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Il rinvio a giudizio, a quasi dieci anni dai sequestri che tanto scalpore destarono ricollegando Terni e l’Umbria a vicende di carattere mafioso, è stato disposto lo scorso 23 maggio dal gip di Perugia Valerio D’Andria. Ma ciò che nel frattempo è accaduto a Paolo Faraone, palermitano di 53 anni e che per lungo tempo ha vissuto e lavorato a Terni, merita di essere raccontato. «Oggi vivo nella povertà – dice – dopo che mi è stato tolto tutto ciò che avevo, nonostante i tribunali, formalmente, mi abbiano poi restituito ogni singolo bene».

Arresti shock Nel luglio del 2008 Paolo Faraone viene indagato e accusato di essere una sorta di ‘ministro della mafia’ in Umbria. Scattano i sequestri per un ammontare di circa 2,5 milioni di euro: un negozio in corso Vecchio a Terni, due appartamenti ad Acquasparta, la ditta individuale con cui gestiva un supermercato sempre a Terni ed un ristorante di cui era titolare nella zona di Narni Scalo.

Le accuse Per gli inquirenti della Dia di Palermo, con tanto di intercettazioni, Faraone avrebbe agito da prestanome di Salvatore Lo Cricchio, a Terni, nell’interesse della famiglia mafiosa trapanese dei Madonia. L’accusa è ‘interposizione fittizia di capitali’ con aggravante mafiosa.

Riesame e sequestro bis Due mesi dopo il provvedimento, a settembre, il tribunale del riesame di Palermo dissequestra i due immobili di Acquasparta, ritenendoli di provenienza lecita. Quasi contemporaneamente, però, Faraone viene colpito dalle misure di prevenzione, a partire da un ulteriore sequestro degli stessi beni ai fini della confisca, disposto dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. È questo forse il fardello più pesante che si porterà dietro nel tempo.

Sentenza e annullamento Intanto a Palermo il processo legato all’arresto va avanti e nell’ottobre del 2013 arriva la sentenza di primo grado: cinque anni di reclusione per Faraone, con assoluzione per l’accusa di ‘riciclaggio’ relativa agli immobili di Acquasparta. Nel febbraio del 2016 arriva la decisione della corte d’appello palermitana che accoglie il ricorso dell’uomo – difeso dall’avvocato Leonardo Capri di Terni – e annulla la sentenza, dichiarando l’incompetenza territoriale in favore del tribunale di Perugia.

Dissequestro beffa Con quella decisione, tutto viene dissequestrato. Ma si tratta di beni – le case, il negozio, il ristorante – ormai confiscati. Così a Paolo Faraone non resta che sperare in una eventuale, futura, istanza di revisione per riottenere quanto meno un controvalore economico. «Adesso siamo a processo di fronte al tribunale di Perugia – afferma l’avvocato Capri – nella consapevolezza che la corte d’appello ha già escluso l’aggravamente mafiosa per gli altri imputati e che, quindi, nel merito resta davvero poco o nulla da spiegare. Fermo restando che gli investimenti su Terni risalgono al 2005 e si potrebbe già parlare, ma non lo faremo noi, di prescrizione».

Terni aveva detto ‘no’ Fra l’altro, prima dei provvedienti del 2008, la procura e quindi il tribunale di Terni avevano già seguito la vicenda. Il sequestro chiesto per Faraone dal pm Guglielmi, prima di essere reiterato dai giudici palermitani sulla base degli stessi atti, era stato respinto dal gip di Terni Augusto Fornaci per assenza di riscontri oggettivi. «Il punto – prosegue l’avvocato Capri – è che non c’è alcun accertamento sugli ipotetici flussi di denaro. Gli investimenti erano stati fatti ricorrendo a regolari mutui».

«Io, uomo finito» Paolo Faraone, tutt’ora imputato, si sfoga così: «Nella maggior parte dei casi chi subisce le misure di prevenzione è una persona che non ha commesso alcun reato. Sulla base di semplici sospetti viene espropriato dei beni ed anche della dignità. Perdi la casa dove vivi con la tua famiglia, vieni strappato dal tuo lavoro e ti viene preclusa per sempre la possibilità di ricominciare. Non sai più cosa dire ai tuoi figli perchè non puoi più affrontare le necessità quotidiane. Hai anche gravi difficoltà a pagare un avvocato per la tua difesa. Oggi sono costretto a sopravvivere con l’intima consapevolezza di essere un uomo finito».

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