Terni, 37 licenziamenti alla Semitec: è scontro

La proprietà comunica via Pec la cessazione attività. Sindacati furiosi: «Grave scorrettezza, subito un tavolo nazionale»

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Doccia gelata per i 37 dipendenti di Terni della Semitec, azienda del campo dei servizi tecnologici e delle telecomunicazioni che conta circa 260 lavoratori in tutta Italia: giovedì la direzione aziendale ha inviato a Fim, Fiom e Uilm nazionali, tramite Pec, la comunicazione di cessazione di attività e relativa procedura di licenziamento collettivo per tutti.

TERNI, SEMITEC: «SENZA STIPENDI NÈ SOLUZIONI»

Sindacati sugli scudi

«Tale atto – tuonano le tre organizzazioni – è scorretto ed inaccettabile nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, lavoratori in primis, organizzazioni sindacali, istituzioni che si sono rese sempre disponibili ad un confronto per cercare una soluzione che potesse fare superare la fase di crisi che ha coinvolto la Semitec, fino all’ultimo incontro svoltosi nel pomeriggio del 3 marzo, incontro nel quale la Semitec non ha fatto il minimo accenno alla cessazione di attività». Anzi, in quell’occasione l’azienda aveva ufficializzato il deposito della domanda di concordato preventivo al tribunale di Roma, procedura completamente alternativa alla cessazione di attività, nell’ambito della quale il cda avrebbe dovuto definire un piano di rilancio e, in caso di esuberi, predisporre ammortizzatori e licenziamenti collettivi. Fim, Fiom, Uilm chiederanno «l’immediata attivazione del tavolo al ministero dello sviluppo economico e a quello del lavoro e all’invio della costituzione a livello nazionale per la procedura di licenziamento collettivo».

Le motivazioni dell’azienda: «Crisi irreversibile»

A Terni sono interessati alla procedura di licenziamento 17 operai e 20 impiegati. «I motivi che hanno indotto la scelta di cessare la propria attività risiedono nel grave peggioramento della situazione economica e finanziaria della società – si legge nella mail inviata ai sindacati -, a cui non pare ragionevolmente esservi alcun efficace rimedio». I clienti nazionali della società – che opera principalmente nel campo delle manutenzioni di impianti e siti per la telefonia mobile e fissa e nella ricerca, costruzione ed implementazione di stazioni radio base e reti telefoniche – hanno «sospeso qualsiasi richiesta di intervento in tutte le regioni ove opera, anche in favore delle società concorrenti, che per abbattere i costi di manodopera utilizzano in subappalto le risorse appartenenti alle società estere e che hanno il costo lavoro e tutele inferiori». La crisi generale del settore – secondo quanto riportato sempre dall’azienda nella comunicazione – ha prodotto per il primo trimestre 2020 un drastico calo del valore di produzione della società, dai 297 mila circa di gennaio ai 51 mila di febbraio, fino agli zero euro previsti a marzo. «Lo stato di crisi (con il blocco totale della produzione) in cui versa la società è ormai strutturale e irreversibile», la capacità di stare sul mercato «completamente compromessa». L’11 marzo si procederà dunque allo scioglimento anticipato della società, con conseguente messa in liquidazione. Un epilogo drammatico per i dipendenti dell’azienda, acquisita nell’estate 2018 dalla Igi Investimenti di Giuseppe Incarnato, fondo noto per l’attività di scouting di aziende in crisi e già conosciuto in Umbria per il fallimento del Giornale dell’Umbria.

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