Terni, frusta la moglie: condannato a due anni

L’uomo – 31enne nigeriano e padre di tre figli – era stato arrestato ad aprile dalla polizia. La donna ha in parte ritrattato le accuse

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Ad aprile, quando era stato arrestato, la vicenda aveva destato forte scalpore. Per le modalità brutali delle violenze perpetrate nei confronti della moglie – ‘frustata’ con una prolunga elettrica e dimessa dall’ospedale con una prognosi di venti giorni – e perché i fatti, aveva spiegato la questura al tempo, si erano svolti di fronte agli occhi dei tre figli della coppia, tutti in tenera età. L’uomo, 31enne della Nigeria, era stato arrestato dagli agenti della Volante in un appartamento di borgo Rivo. A lanciare l’allarme era stata la moglie, stanca dei soprusi anche se di fronte al gip Massimo Zanetti, nell’udienza di lunedì scorso che ha portato alla condanna dell’uomo a due anni di reclusione, ha in parte ritrattato quelle accuse.

Passo indietro L’uomo, difeso dall’avvocato Fabiana Pantella, era accusato di maltrattamenti continuati e lesioni. Il giudizio abbreviato – questa la modalità chiesta dalla difesa – era condizionato all’acquisizione in aula della testimonianza della moglie che, oltre ad affermare come il 31enne sia in realtà un buon padre, ha ridimensionato le dichiarazioni rese al tempo, assumendosi in parte la responsabilità dell’accaduto. Quest’ultima, che non si è costituita parte civile, era assistita dall’avvocato Francesca Carcascio del foro di Terni.

Sentenza ‘culturale’ Una condotta che il giudice Zanetti – che ha riconosciuto al 31enne le attenuanti generiche e revocato gli arresti domiciliari a cui era sottoposto – ha ricollegato al contesto di origine. In aula il giudice ha evidenziato come, se da un lato l’aspetto culturale originario preveda una ‘supremazia’ dell’uomo sulla donna, dall’altro tali elementi non sono più accettabili se la persona risiede da anni stabilmente in Italia, come nel caso di specie. E lo stesso tentativo della moglie di ‘ritrattare’ in parte le accuse, per il giudice rende ancora più attendibili le dichiarazioni rese al momento dei fatti e il contesto di ‘soggezione culturale’ in cui questi sono maturati. «Bisogna interrogarsi – ha detto il giudice in aula – se l’imputato, per le sue origini, sia in grado di comprendere il contenuto riprovevole delle proprie azioni, visto che ha avuto il tempo per assimilare il diverso contesto culturale in cui si trova da ben tredici anni».

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