Terni, outing Di Canio: «Io sono cambiato»

Il calciatore si racconta dopo il clamoroso ‘taglio’ subito da Sky per un tatuaggio «simbolo di ciò che sono stato, di quel che ho fatto. Compresi gli errori»

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A Terni, città della moglie, ha trascorso solo un anno. Era la stagione 1986-1987, nella Ternana targata Mario Facco protagonista in serie C2, ma Paolo Di Canio è comunque rimasto un’icona calcistica per i tifosi rossoverdi. Da quel momento – all’epoca era appena 18enne – una carriera in costante ascesa in campo e, una volta appesi gli scarpini al chiodo, fuori, da tecnico prima e commentatore poi.

Il fair play Una carriera sportiva, è bene ricordalo, che è stata caratterizzata anche da un gesto di fair play difficilmente dimenticabile: era l’8 dicembre del 2000 e in Premier League si affrontavano l’Everton e il West Ham United di Di Canio. Al 90°, risultato sull’1-1, il portiere dei padroni di casa in uscita si era infortunato ed era rimasto a terra. La palla arrivava a Trevor Sinclair che la metteva al centro: un cross perfetto per il romano che, indisturbato, avrebbe potuto mettere a segno il gol decisivo. Di Canio, invece, aveva afferrato la palla con le mani e fermato il gioco. Applausi e standing ovation da parte del pubblico inglese.

IL VIDEO 

I social Fino a quando una fotografia postata sull’account facebook di Sky Sport ha messo la parola fine all’avventura all’esperienza televisiva: quel tatuaggio con la scritta ‘Dux’ ha riacceso il dibattito sulla sua visione politica e Di Canio, in un’intervista a Il Corriere della Sera, fa ‘mea culpa’ sul passato e chiede una nuova chance: «Io questa cosa del razzismo non ce l’ho dentro, non mi appartiene, vorrei gridarlo».

La foto ‘incriminata’

La foto ‘incriminata’

La foto e il ‘taglio’ Si parte dal momento più duro, quando Sky ha deciso di ‘tagliare’ il rapporto a causa del tatuaggio sul braccio destro: «Era ancora estate, indossavo una polo. C’è da girare un video promozionale. Se fossi stato in giacca e cravatta non sarebbe successo. Così va la vita». Uno scatto che a molti, soprattutto alcuni esponenti della comunità ebraica, ha fatto tornare in mente il saluto romano che Di Canio faceva ai tempi della Lazio, e via la bufera sui ‘social’. Per l’ex tecnico del Sunderland un duro colpo da mandare giù: «Non me l’aspettavo. Sono un’altra persona. Non ho fatto nulla, almeno questa volta. A causa – ha spiegato a Il Corriere della Sera – di qualcosa ormai lontano nel tempo ho perso un lavoro che facevo con entusiasmo. Il giorno in cui vengo sospeso sono in redazione a Sky. Alle 20 c’era la presentazione del palinsesto, i colleghi la chiamano la sera del tappeto rosso. Io e Leonardo, l’ex calciatore brasiliano, eravamo tra gli ospiti. Vedevo facce strane intorno a me. Vado in albergo per prepararmi. Entro nella hall, suona il telefono».

La ‘fuga’ Un Di Canio ferito dalla decisione presa da Sky: «Ci sono rimasto non male, peggio. Ho urlato. Non so neppure cosa sono i social network. Orgoglio ferito. Mi sono sentito un appestato. Avrei voluto reagire d’istinto e invece sono salito di corsa sul primo Frecciarossa per Roma. Non c’era posto. Alla capotreno ho detto che pagavo la tariffa massima e me ne stavo in piedi, pur di tornare a casa. Mi chiedevo cosa avevo fatto per meritarmi una cosa del genere».

Il saluto romano del 6 gennaio 2005 (foto huffingtonpost.it)

Il saluto romano del 6 gennaio 2005 (foto huffingtonpost.it)

Simbologia e cambiamenti E quando risponde in merito ai numero tatuaggi sul braccio e sulla schiena, l’ex Ternana aggiunge che «il giovane Di Canio le avrebbe risposto in altro modo, ma ormai ho quasi cinquant’anni. Ho imparato a mettermi dalla parte degli altri, a ragionare con loro. C’è tanta gente che ha ogni diritto a sentirsi ferita dall’esibizione, per quanto non voluta, di quei tatuaggi. E un’azienda importante come Sky ha diritto a non vedersi associata a una simbologia che non condivide. Ma non era stata una mia scelta. E ancora oggi ne pago le conseguenze. Non rinnego le mie idee. E la gente cambia. Io sono cambiato, non da ieri».

Il saluto romano e il pentimento Una delle immagini ‘simbolo’ del Di Canio calciatore è legata al derby con la Roma del 6 gennaio 2005: «Il saluto romano sotto la curva Nord. È la cosa – prosegue – di cui mi più mi pento nella mia carriera. Quello è un ambito sportivo, è stupido fare un gesto politico che magari può essere condiviso da alcuni spettatori e amareggiarne molti altri. Non avrei mai dovuto farlo. Lo sport deve restare fuori da certe cose. Il fatto di averlo rifatto a Siena, Livorno e Torino? Per provocare. Per rabbia. Era scoppiato il casino. Mi tiravano sassi dagli spalti. Sputi, cori con insulti terrificanti ai miei genitori. Le ho detto che sono pentito, non che nella mia vita sono stato un santo».

Il Di Canio allenatore in Inghilterra (foto The Telegraph)

Il Di Canio allenatore in Inghilterra (foto The Telegraph)

Le etichette e il fascismo «Preferirei – replica alla domanda sul fatto se sia fascista – evitare le etichette. Ho sempre spiegato come la penso, non è un mistero. Ma se mi chiede delle leggi razziali, dell’antisemitismo, dell’appoggio al nazismo, quelle sono cose che mi fanno ribrezzo. Interviste dove mi definisco fascita? Può essere. Ma sempre con queste distinzioni. E oggi mi rendo conto che per le persone che hanno subito certe cose sulla loro pelle, non può bastare. Ho creduto in una destra sociale, ho seguito le varie svolte da Fiuggi in poi. Non ho mai preso una tessera. Sono 17 anni che non voto». E su Mussolini sottolinea che «c’è un prima e un dopo; alcune cose le aveva fatte bene. Quando segue Hitler sulle leggi razziali finisce tutto».

Mussolini e Matteotti Sull’ex segretario del partito socialista italiano, antifascista, Di Canio evidenzia che fu «vittima di un esecrabile omicidio politico. I regimi sono spesso nati in questo modo, da tutte le parti e tutti i colori. Ed è questo che li offusca e li priva di ogni ragion d’essere. Il tatuaggio lo feci nel 2000, a Bologna. Giocavo in Inghilterra, ero convalescente da un infortunio. Per me Mussolini rappresentava un’idea di società con regole, vere, che tutti rispettano. L’amore e l’orgoglio patrio. Cose che vorrei per il mio Paese e non vedo neppure oggi».

La famiglia Un passaggio poi sulla famiglia: «Di destra? Per carità. I miei tre fratelli votano a sinistra. Mio padre Ignazio era un muratore romano. I nazisti gli spararono addosso. Aveva rubato del formaggio, voleva portare a casa qualcosa da mangiare. Quando ci fu il bombardamento di San Lorenzo, andò in giro con un carretto per dare il poco che aveva alle persone rimaste senza tetto. Sono nato e cresciuto al Quarticciolo, un quartiere da sempre rosso e romanista. Nel mio gruppo c’erano cinquanta tifosi della Roma e 4-5 laziali. Mi è sempre piaciuto essere minoranza. Anni Ottanta, ci si divideva anche per il modo di vestire. Le Clark e la kefiah erano di sinistra, il giubbotto di pelle Scott e gli stivali di destra. Solo una questione estetica? Ambientale, piuttosto. Ammiravo Giorgio Almirante e la sua capacità oratoria. Nel 1987, quando giocavo nelle giovanili della Lazio, cominciai a frequentare in curva il gruppo degli Irriducibili, che aveva preso una certa impronta politica».

Paolo Di Canio

Paolo Di Canio

Amicizie Di Canio ricorda poi i molti legami con calciatori di colore: «Se all’epoca lanciavano già banane contro di loro? Cominciarono dopo. Quando non ero più alla Lazio. Trevor Sinclair, quel genio di Shaka Hislop, che terminata la carriera di portiere è diventato ingegnere nucleare, Chris Powell. Compagni di squadra. Amici ancora oggi. Ragazzi di colore. Phil Spencer, il mio agente inglese, è un ebreo praticante. Sono stato al Bar Mitzvah del figlio. Io questa cosa del razzismo non ce l’ho dentro, non mi appartiene, vorrei gridarlo».

La lettera Di Canio a novembre ha scritto una lettera all’Unione delle comunità ebraiche italiane: «Sono – racconta il 48enne romano – a casa. Pensieri cupi, tristezza. Mia moglie mi dice che Ludovica, la nostra primogenita che studia a Londra, fa finta di niente perché mi vuole bene, ma soffre come una bestia. Mi chiedo cosa posso fare, a chi posso spiegare una volta per tutte il mio pensiero. La comunità ebraica è stata la più toccata da quella involontaria apparizione. Sono persone davanti alle quali posso solo chinare il capo. Ho preso carta e penna. Non mi aspettavo una risposta più calorosa della presidente Noemi Di Segni, assolutamente no. Mi ha scritto di fare attenzione alle parole e ai simboli, aggiungendo che a una grande visibilità mediatica deve corrispondere un senso di responsabilità ancora maggiore. Condivido dalla prima all’ultima parola».

A testa alta Critiche, tatuaggi e ‘tagli’. Di Canio, dopo il recente caos, chiede solo una cosa: «Spero che mi venga data una possibilità. Far capire chi sono davvero, pregi e difetti, comunque ormai lontano da quelle foto con il braccio teso. Penso per primi ai reduci dai campi di concentramento che una volta ho incontrato in Campidoglio. E poi ai giovani che portano avanti le loro idee. Devono esserne fieri, purché rispettino quelle degli altri. Non posso convincere tutti. Certe etichette non me le toglierò mai, ne sono consapevole. Ma giro a testa alta. Le mie figlie sanno chi sono. Togliere i tatuaggi? No. Sarebbe una ipocrisia. Una amica di sinistra mi ha detto che per me sono ormai legati a un’idea romantica e idealista della giovinezza. Forse non è neppure così. Quel che mi porto – conclude – addosso è il simbolo di ciò che sono stato, di quel che ho fatto. Compresi gli errori».

Di Girolamo Il sindaco di Terni, Leopoldo Di Girolamo, sulla sua nuova pagina Facebook, ha commentato così la sortita di Di Canio: «Mi sembra una pagina molto autentica. E per molti versi anche coraggiosa: ammettere i propri errori ma non cancellarli. Mi sembra una pagina disinteressata, mossa dal bisogno di essere sincero con se stesso e con i propri figli. Ho idee politiche diverse da Paolo Di Canio, ma condivido il suo riconoscersi in principi comuni, che valgono sia per la destra che la sinistra: il no al razzismo e all’antisemitismo sono fondamentali. Poi ce ne sono altri, altrettanto importanti: la democrazia, le garanzie e i doveri costituzionali, la legalità, il rispetto per chi ha idee diverse. Ecco, riconosciamoci tutti sui temi fondamentali, anche a livello civico: Terni sarebbe più coesa e forte».

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