Terni: «Per l’università serve cambiare passo»

L’assessore Giorgio Armillei: «Allargare i confini e trovare nuove risorse economiche»

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Parlare di soldi, quando si ragiona di cultura, sta brutto? E puntare sui freddi numeri, quando ci si interroga sul futuro del giovani, è sgradevole? Forse, ma visto che tenere in piedi il Polo universitario ternano costa, appunto, soldi e i numeri – tipo gli iscritti – sono quelli che sono, magari bisogna farlo.

Moriconi Soprattutto perché il rettore Franco Moriconi, parlando a Terni in occasione dell’inaugurazione della nuova Tac in ospedale – a Walter Patalocco non è sfuggito e, nella sua rubrica ‘Il corsivo’ propone alcune riflessioni al riguardo – è tornato a garantire che il Polo ternano è nel cuore dell’Ateneo perugino. Sempre che non diventi una spina.

I fondi «Cominciamo col dire – spiega l’assessore comunale Giorgio Armillei – che l’impegno del Comune di Terni, sul fronte universitario, non può essere messo in discussione, visto che in 14 anni sono stati messi a disposizione circa 18 milioni di euro, tra investimenti e spese per la copertura dei costi. E che solo per rifinanziare i contratti a tempo dei ricercatori, quest’anno verranno impegnati 650 mila euro».

Gli iscritti Ma il Polo ternano langue lo stesso: se i 2418 iscritti restano un buon numero, nessuno dimentica che cinque anni fa erano quasi 700 in più. Un numero che, sarà un caso, è molto vicino alla somma di quelli che erano gli iscritti a due corsi di laurea soppressi: Scienze politiche (423) e Scienze della formazione (400): «E va ricordato che chiudere a Terni non ha significato il trasferimento di quegli studenti a Perugia», ricorda Armillei.

Nessun dualismo Ma l’assessore tiene a precisare che «non c’è, non ci deve essere e, anzi, va evitato a tutti i costi, un ‘derby’ tra Terni e Perugia sul Polo universitario. Si deve, invece, ragionare insieme, partendo da un dato di fatto che è rappresentato dallo stato di sofferenza su settori decisivi, come la ricerca e la didattica, che l’università di Perugia condivide, peraltro, con tutti gli atenei di dimensioni simili e operanti nel centro-sud del Paese. Va quindi pensato, e ripeto che sarebbe utile farlo insieme, a come impostare rapporti nuovi con altre università di territori limitrofi».

Crescere, ma come? Perché, secondo Armillei, «il futuro delle università non può che essere legato ad una loro crescita, dimensionale e di offerta formativa. Perugia il Polo ternano non possono certo prescindere da questo, ma tutto sta nel modo in cui si vorrà crescere o provare a farlo. La dimensione regionale – qui Armillei tocca un argomento che travalica l’aspetto didattico – non sempre è un punto di forza e sarebbe invece necessario guardare sempre oltre questo limite spaziale. Penso all’area Civiter (il progetto di collaborazione tra i Comuni di Terni, Rieti, Viterbo e Civitavecchia), ma anche quella della zona metropolitana a nord di Roma».

Viterbo e Rieti L’università di Perugia, peraltro «sta già intrecciando un dialogo con quella di Viterbo – spiega l’assessore – e ha già dei rapporti di collaborazione con Rieti, città nella quale il disimpegno de ‘La Sapienza’ di Roma potrebbe aprire spazi di manovra importanti nella strategia che deve portare ad una sempre maggiore integrazione tra aree urbane limitrofe, prescindendo da quei confini regionali che, peraltro, sembrano destinati ad essere presto messi in discussione».

Consorzio o fondazione Nel frattempo, però, a Terni si dovrà decidere su come dovrà chiamarsi – e soprattutto su come dovrà essere strutturato – il soggetto che dovrà continuare a prendersi cura del Polo universitario locale, «perché è chiaro che il consorzio, così come lo abbiamo conosciuto, è ormai uno strumento superato, inutile e, per di più costoso senza essere produttivo – spiega l’assessore Armillei – e deve essere sostituito con un strumento agile ed in grado trovare risorse nuove. Poi penseremo, magati, anche al nome. Ma mi pare più urgente pensare alla sua mission, perché il Comune da solo non ce la fa».

I privati Inevitabile pensare ad un possibile coinvolgimento di soggetti privati, «ma puntando a superare quelle diffidenze che caratterizzano il rapporto tra il mondo accademico e quello imprenditoriale, cercando di mediare e fare in modo che possano interloquire, anche sotto il profilo tecnico, per individuare quelle che possono essere le strategie migliori per determinare delle ricadute positive per il territorio».

 

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