Terni: «San Francesco e l’eco della storia»

Una piccola croce greca sull’architrave di un’antica porta avvalora alcune ipotesi sulla presenza dei francescani in città

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di Giuseppe Cassio
Vice presidente Italia Nostra – Terni

A distanza di 750 anni dalla tradizionale posa della prima pietra della chiesa di San Francesco a Terni (1265-2015) un piccolo segno cruciforme accende di nuovo l’interesse sulla zona che vide l’insediamento del Santo umbro.

Si tratta di una piccola croce greca leggermente sporgente sull’architrave di un’antica porta della casa medievale affacciata su piazza San Francesco. La scoperta avvalora alcune ipotesi sulle origini dell’edificio sacro limitrofo e sulla presenza dei francescani a Terni.

Era il 1265 quando i frati Minori, che occupavano temporaneamente il complesso di San Cassiano – oggi Cenacolo San Marco – ottennero una casa nel rione Amingoni, dotata di un terreno agricolo solcato da una forma d’acqua. La zona ovest della città, infatti, era caratterizzata da vasti poderi coltivati e la ‘casa’ non era altro che un edificio rurale in grado di far fronte alle esigenze connesse alle attività agricole.

L'edificio interessato

L’edificio interessato

L’unica costruzione che risponde morfologicamente a tale descrizione oggi è proprio quella in cui è stata riconosciuta la piccola croce. Realizzata in quadrelli di pietra locale la struttura si sviluppa su due livelli ed è coperta da un tetto a due spioventi; l’ingresso al piano superiore è garantito da una scala esterna sul lato prospiciente la piazza. La facciata posteriore invece è animata da un ampio arco ogivale che dava forse ingresso ad ambienti di lavoro. Ciò che rimane della dimora originaria è sufficiente per capire che doveva trattarsi di un edificio più esteso destinato ad assolvere le esigenze agricole e l’uso abitativo dei proprietari.

E’ lecito supporre che la croce, ricavata su un architrave di reimpiego proveniente probabilmente dalla stessa struttura, rimandi alla presenza stessa dei frati Minori che vollero trasferirsi proprio lì per avvicinarsi al terreno sul quale sorse il tugurio arrangiato dallo stesso san Francesco, interessato all’epoca dal cantiere della chiesa. La palese somiglianza architettonica e la coincidenza cronologica – che fissa la consacrazione della basilica di Santa Chiara ad Assisi al 1265, anno in cui iniziarono i lavori a San Francesco di Terni – non lascia ampi margini nella definizione dell’ambito culturale delle stesse maestranze che operarono ad Assisi, spostate poi a Terni.

A partire dalla seconda metà del Quattrocento la casa in esame ospitò la confraternita della Croce Santa, che fu profondamente legata alla chiesa francescana e ai frati Minori conventuali che avrebbero mantenuto la proprietà di tale edificio. Sta di fatto che la sede successiva della pia società fu quella limitrofa (fabbricata nel XVI secolo e ricostruita nella metà del XX), arricchita di un paio di portali rinascimentali ricalcati sul modello di quelli minori della chiesa francescana.

Cosa voleva indicare tale croce? Sicuramente un segno di protezione associato all’indicazione specifica dell’edificio che, oltre ai francescani, ospitò i membri di una delle confraternite più potenti della città, istituita verso la fine del Quattrocento per promuovere il culto di una particola del patibolo di Cristo misteriosamente depositata nella chiesa minoritica.

E’ assodato quindi che la sistemazione dei frati nel 1265, si trovasse proprio a ridosso dell’area ormai prossima a ospitare il cantiere per la nuova chiesa e che i religiosi volessero sorvegliare da vicino il cantiere in quel lontano 1265, in cui Terni stava per accogliere uno dei più grandi e fedeli edifici ispirati all’architettura assisiate.

Tra le intenzioni dei religiosi infatti c’era anche quella di costruire una chiesa sepolcrale destinata a custodire le spoglie di Simone Camporeali da Terni e Pietro Capitoni Cesi da Poggio Azzuano, dei quali oggi si è quasi completamente persa la memoria.

Oltre sette secoli di storia quindi in un piccolo segno, che nella ricorrenza annuale di san Francesco patrono d’Italia racconta il fascino di una città in cui si comincia a sentire il bisogno di tornare alle radici. Oltre l’acciaio, naturalmente.

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