Terni, cellule staminali «Momento triste. Altra occasione persa»

Game over fondazione, passaggio in III° commissione in attesa del consiglio. Minoranza critica, l’assessore Fabrizi: «In un anno non si è riusciti a trovare nuovi soci»

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di S.F.

Da un lato la presa d’atto sull’impossibilità di proseguire. Dall’altro le critiche per come si è arrivati a questo punto. Su un fatto tutti d’accordo: la fine della Fondazione cellule staminali a Terni è un «momento triste» per la città. La discussione si è sviluppata venerdì pomeriggio in III° commissione consiliare dopo il via libera allo scioglimento da parte della giunta: lunedì la parola ‘fine’ con l’approvazione in consiglio comunale.

GAME OVER FONDAZIONE, VESCOVI: «MA CELL FACTORY RESTA».  LA STORIA

Niente nuovi soci e contributi al palo 

A dare delucidazioni sulla fine della fondazione ci ha pensato l’assessore alla scuola Cinzia Fabrizi: «Si prende atto – ha esordito – della decisione emersa durante l’assemblea dei soci per lo scioglimento. La motivazione è la mancanza di fondi adeguati per poter perseguire lo scopo per il quale è stata costituita nel 2006: ricordo che nel novembre 2019 lo statuto era stato modificato per consentire l’ingresso di nuovi soci, ma non è avvenuto. La ricerca tuttavia potrà avere uno sviluppo successivo come specificato dal presidente dimissionario Alessandro Sanguinetti: la Cell Factory è di proprietà dell’azienda ospedaliera di Terni, così come le autorizzazioni: sono impegnati cinque ricercatori al momento, quattro dei quali in collaborazione con l’Irccs ‘Casa sollievo della sofferenza’ di San Giovanni Rotondo. Nel corso del tempo sono venuti a mancare i vari soggetti: l’Istituto superiore di sanità – ha specificato – ha dato il contributo iniziale e basta, la diocesi solo nei primi due anni, la Camera di commercio fino al 2013 e lo stesso Comune fino al 2010 perché non poteva più finanziare un’attività di ricerca. Non si può dare la responsabilità del fallimento né a quella maggioranza né all’attuale. C’è da porsi una domanda: la compagine originaria aveva gambe sufficienti per proseguire? Credo che sia opportuno fare una riflessione più ampia». Come noto l’unica che ha continuato a dare la sua parte – e anche oltre – è stata la fondazione Carit: «Da sola – ha evidenziato la Fabrizi – non poteva farsi carico dei 500-600 mila euro necessari. Non è nelle loro disponibilità».

IL VERBALE DELL’ASSEMBLEA DEI SOCI: RIEPILOGO E VIA LIBERA ALLO SCIOGLIMENTO

Cinzia Fabrizi

«Inettitudine della giunta. Un capitolo triste»

Sponda minoranza non sono mancati gli attacchi per la gestione della vicenda. Il primo ad esporsi è stato il capogruppo M5S Federico Pasculli: «Il discorso è più ampio perché riguarda anche lo smantellamento generale che parte da Isrim. Nulla è cambiato. Ho letto il report dell’assemblea dei soci della fondazione e l’intervento del sindaco Leonardo Latini, di poche righe, sul fatto che il Comune non si può impegnare per i costi elevati della ricerca. Per non parlare dell’ex Milizia che non si utilizza nemmeno in questo momento pandemico. In questa comunità non si parla di ricerca e ora c’è questo capitolo triste con il quale si chiude un’idea di progetto. Un’altra occasione persa. Speriamo che il nuovo – in tono ironico – palasport sani tutto, magari si potrà fare ricerca lì dentro. Di palloni forse». In scia Alessandro Gentiletti di Senso Civico: «Ci viene portato questo atto come se fosse di ordinaria amministrazione, in pratica se ne lavano le mani. Una situazione demoralizzante per la città, c’è inettitudine ed insipienza di questa giunta. Si arriva in commissione con rassegnazione e senza rivendicare alcuna lotta sul tema. Stiamo parlando – ha aggiunto – di una fondazione che ha rappresentato un ruolo importante per la nostra città, che avrebbe dato lustro alla città e al presidio ospedaliero. Oggi certifichiamo il fallimento senza aver fatto un dibattito: è di una tristezza infinita dal punto di vista politico, questa amministrazione è dannosa». Al solito ben più conciso Paolo Angeletti di Terni Immagina: «Stupefatto che non si sia fatto nulla per mantenere in piedi la fondazione».

IL CASO ISRIM

Stefano Bandecchi

Lo stop Unicusano

Ha voluto dire la sua anche Paola Pincardini di Uniti per Terni: «Dispiace quando un progetto finisce. Il patrimonio investito e la ricerca svolta finora che fine fanno? Si interrompe un processo dopo aver speso milioni di euro». Quindi le repliche della maggioranza con l’intervento di Michele Rossi di Terni Civica: «Momento triste per la città, non può passare come semplice presa d’atto. Qui si parla di problemi oggettivi, l’ennesima promessa/speranza che termina. Non si è fatto nulla? Avevamo apportato delle modifiche allo statuto per far entrare soggetti privati interessati a finanziarla». Nel verbale dell’assemblea dei soci di dicembre in tal senso viene messo nero su bianco che «per quanto riguarda la fondazione Aiutiamoli a vivere non presenta una consistenza patrimoniale così importante tale da poter giustificare un intervento finanziario nel medio-lungo termine», mentre Unicusano «non ha ritenuto opportuno aderire al progetto in quanto impegnata in una riorganizzazione interna e finanziariamente su altri progetti». E dunque game over.

L’ex Milizia

«Università e Regione?»

Luca Simonetti (M5S) inizia la sua disamina proprio da Unicusano: «Pianificare il futuro di una città con le disponibilità del ‘patron’ – il riferimento è a Stefano Bandecchi, Ternana – di una squadra di calcio è abbastanza limitante. Ok la filantropia, ma chi fa investimenti si attiva per avere giustamente un suo tornaconto. D’altronde è un privato». Poi la domanda per l’assessore: «Quali sono i principali motivi ostativi per il mancato coinvolgimento dell’università di Perugia e della Regione Umbria? Ci avete provato?». Federico Brizi, capogruppo Lega, ha puntato sul fatto che la fondazione «man mano si è spenta e per l’ex Milizia non è mai stato terminato l’intervento». Immediata la replica della Fabrizi sugli input del consigliere pentastellato: «La modifica dello statuto c’è stata per far entrare nuovi soci ma in un anno di tempo non si è riusciti a trovarne. Né l’università né la Regione hanno mai manifestato interesse e ciò vale anche per il 2006, quando c’è stata la costituzione. Le risorse investite hanno permesso di far progredire la ricerca. Isrim? Esempio di come la maggioranza precedente abbia distrutto un progetto». Non soddisfatto Simonetti: «Mi interessa che chi amministra la città prenda la valigetta, vada a Perugia e pretenda che anche Terni abbia un minimo di ristoro. I progetti? Portare fanghi dell’Umbria qui e Css. Ok, siamo d’accordo di non dare colpe all’attuale giunta per la fine della fondazione cellule staminali, ma stendiamo un velo pietoso su visione e idea di futuro per questo territorio». Con citazione del Recovery Plan e delle oltre 150 pagine preparate da palazzo Donini.

Alessandro Gentiletti e Luca Simonetti

Botta e risposta

Battaglia anche su questo argomento: «L’attuale amministrazione è responsabile perché l’assessore ci ha detto che c’è stato un anno transitorio per la ricerca di soci. Questo è un loro fallimento politico e identitario, lo scioglimento non era inevitabile». A rispondergli è Federico Cini della Lega: «Ammiro la sicurezza dei colleghi di minoranza che ogni volta approfittano delle situazioni spiacevoli per dare colpe alla maggioranza. In questo caso c’è un principio economico oggettivo alla base dello scioglimento, sono folli le critiche sul Recovery Plan e la mancanza di visione. Ricordo che esiste il Dup, trovate tutto. Ci troviamo tristemente a certificare un fallimento: quello schema – si riferisce ai soggetti coinvolti – magari poteva funzionare 10 anni fa, ma non è stato in grado di reggere. Si poteva fare di più negli ultimi dieci anni, non speculiamoci sopra. Non diamoci addosso sempre e comunque, altrimenti le occasioni non le cogliamo», l’invito alla minoranza.

Focus ex Milizia

Secondo giro anche per la Pincardini che, questa volta, cambia mira: «Ma questa fondazione non aveva sistemato l’ex Milizia per ospitare la ricerca? La struttura è abbandonata, perché?». Chiusura della Fabrizi: «Utilizzare quella sede avrebbe comportato dei costi troppo elevati e quindi si è ritenuto di scegliere l’interno dell’azienda ospedaliera». Dopo un’ora di confronto si vota: cinque favorevoli, due contrari ed un astenuto. Approvazione e lunedì step finale con – salvo sorprese – il semaforo verde del consiglio comunale.

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