Tribunale di Orvieto: ultimo ‘no’ del Tar

Il tribunale amministrativo conferma l’accorpamento con Terni

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Una decisione in qualche modo attesa, quella con cui il Tar dell’Umbria ha messo la parola fine alle speranze del tribunale di Orvieto di poter tornare in funzione dopo l’accorpamento con quello di Terni, scattato nel 2013. Il ricorso presentato a suo tempo dall’amministrazione comunale e dall’ordine degli avvocati di Orvieto, è stato infatti respinto dal tribunale amministrativo regionale.

La decisione Nella sentenza, depositata lo scorso 15 maggio, i giudici non ravvisano «alcuna violazione di precetti costituzionali nel trasferimento, ad opera del presidente del tribunale, delle controversie del proprio ufficio ad altra sede giudiziaria, trattandosi di attività meramente esecutiva di disposizioni di legge che hanno superato il vaglio di costituzionalità».

Il commento Fra chi si è battuto fino in fondo per salvare gli uffici giudiziari della Rupe, c’è l’ex presidente dell’ordine degli avvocati di Orvieto – Sergio Finetti – secondo il quale «tutto viene ricondotto alla sentenza 237 del 2013 con cui la corte costituzionale attribuisce enorme discrezionalità alla pubblica amministrazione nella scelta in questione. Nessuno ci dirà mai – afferma – perché alcuni tribunali andavano chiusi ed altri no. La giustizia italiana affoga in una marea di cause e procedimenti pendenti. E cosa fa il legislatore? Chiude trenta tribunali, come se di fronte ad un’epidemia si chiudessero gli ospedali».

Nessun appello L’ex presidente degli avvocati orvietani esclude un eventuale appello al consiglio di Stato: «Ritengo che non ci siano più i margini per poter sperare ancora. La volontà è chiara: mentre per altri provvedimenti ci sono contenti e scontenti, la chiusura dei tribunali sembra soddisfare un po’ tutti, ad eccezione dei diretti interessati».

Il bilancio A quasi due anni dall’accorpamento con Terni, il giudizio di Sergio Finetti non è positivo: «Anche con l’arrivo di nuovi magistrati – spiega – il lavoro di due tribunali non può essere svolto da uno solo, senza che ci siano ritardi o intoppi. È la regola dell’imbuto. Accanto a ciò ci sono i tanti disagi per i professionisti e i cittadini che hanno perso di fatto un servizio».

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