Aggressioni sul lavoro: «Brutta escalation»

L’assistente sociale Massimo Fioretti dice la sua sui recenti gravi fatti al tribunale di Perugia: «Negligenze inaccettabili»

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di Massimo Fioretti
Assistente Sociale

A seguito dell’aggressione subita da due magistrati e da un dipendente del tribunale di Perugia (a cui, peraltro, va anche tutta la nostra solidarietà) si è risvegliata, nella nostra regione, una certa attenzione sui problemi legati alla tutela di chi frequenta, per varie ragioni, gli uffici giudiziari. In tale quadro hanno fatto bene, i sindacati, a denunciare con forza la carente attuazione della normativa sulla sicurezza nei tribunali e a chiedere una maggiore attenzione per certe tutele a favore di chi lavora all’interno di tali uffici. 

La speranza ora è che, però, con il venir meno della valenza mediatica dei fatti appena accaduti, non si diluisca questa rinnovata attenzione verso una maggiore garanzia della sicurezza dei lavoratori. Così come la speranza è che la stessa maggiore attenzione, a onor del vero, venga estesa a favore di tutti coloro che, con crescente disagio, operano a diretto contatto con i cittadini, sia nel pubblico che nel privato, con particolare riguardo a chi è impiegato all’interno di contesti frequentati da un’utenza che può versare in particolare stato di disagio sociale ed economico.

D’altra parte basta leggere le cronache nazionali e locali per rendersi conto che è in atto una vera propria escalation delle aggressioni (sotto le diverse forme in cui queste possono manifestarsi) dei cittadini utenti nei confronti di chi lavora con il pubblico. Tale escalation è motivata da diversi fattori: la progressiva delegittimazione (politico-mediatica) del  dipendente pubblico e della pubblica amministrazione in generale; la sempre più carente disponibilità di servizi rivolti ai cittadini (conseguenza, soprattutto, dei tagli selvaggi fatti al welfare state, nelle varie forme in cui questo è declinato); una crescita della diseguaglianza sociale che esaspera sempre di più il cittadino, con particolare riguardo a chi versa in difficoltà economica e che, ormai, non vede più in questo modello sociale una possibilità reale di trovare risposta concreta ai suoi bisogni di vita.

E se tale esasperazione dei cittadini, che in sostanza si vedono privare sempre di più del loro diritto di cittadinanza, è del tutto comprensibile, ciò che non è assolutamente accettabile è che comportamenti reattivi di natura violenta siano diretti verso i lavoratori impegnati nei servizi di front-office (nel quadro di una sorta di conflittualità sociale capovolta: dove il target non è il vertice, ma la base). Siamo arrivati al punto che chiunque lavori con il pubblico, a contatto quotidiano con le varie forme di disagio espresso dal cittadino, ha subito aggressioni o ha assistito ad aggressioni (più o meno gravi) e queste, ormai, sono tanto frequenti che per certi versi si sta instaurando, per assuefazione, una sorta di rassegnazione generale (anche da parte degli stessi lavoratori che ne sono vittime).

Ma così come non ci si deve rassegnare al degrado delle dinamiche politico-economiche (e di conseguenza anche di quelle relazionali) della società in cui viviamo, cosi non ci si deve rassegnare a subire passivamente il degrado dei rapporti di lavoro (a cominciare dalla mancata realizzazione di condizioni di sicurezza), come se tutto ciò fosse ineluttabile: tale rassegnazione potrebbe essere il sigillo ultimo verso un involuzione degenere della dimensione lavorativa, un passo indietro inaccettabile, che contribuirebbe in maniera determinante all’imbarbarimento del mondo del lavoro e della società nel suo insieme. 

Nessuno che sia uomo o donna, infatti, dovrebbe uscire di casa (a qualsiasi ora del giorno o della notte), per vivere la propria vita o svolgere il proprio lavoro, nutrendo il timore che un atto di violenza potrebbe essere dietro l’angolo. Considerata questa situazione non si può più fare finta di niente. Occorre, al contrario, prendere coscienza della ineludibilità del problema e agire di conseguenza.

Nel mondo del lavoro, paradossalmente, alcuni percorsi sono, almeno sul piano formale, già sufficientemente delineati. La normativa, in materia di prevenzione degli atti di aggressione nei luoghi di lavoro, esiste già: il problema è che coloro i quali hanno la responsabilità di attuarla non agiscono i loro obblighi gestionali (e l’idea è che, talora, questo avvenga solo per una sorta di sciatteria organizzativa). Manca, troppo spesso, la giusta attenzione verso certi aspetti e la sensazione è che si attenda, colpevolmente, solo di correre ai ripari quando ormai il danno è stato fatto (secondo una triste consuetudine tutta italiana). 

Comunque, quali che siano le cause di tali inadempienza, non ci sono giustificazioni all’ignavia di chi ha la responsabilità di adempiere a certe funzioni, anche perché se alcuni strumenti, che possono prevenire fatti estremamente spiacevoli, possono richiedere l’investimento delle necessarie risorse, è anche vero che altri accorgimenti sono assolutamente a costo zero. In alcuni casi, ad esempio, basterebbe solo la volontà di ripensare l’organizzazione interna delle procedure e dei servizi (come, per l’appunto, prevede la normativa vigente). Allo stato delle cose, quindi, certe negligenze non devono più essere accettate. Ognuno sia richiamato ad assolvere le sue responsabilità e, a tal fine, i sindacati siano solerti nell’esercizio del loro ruolo di rappresentanza dei lavoratori. Non si può più attendere, occorre fare di più. Che cosa stiamo aspettando?

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