Agricoltura, danni cinghiali: sos Cia

Umbria, risarcimenti: «Appena 508 euro a domanda per un anno di lavoro andato in fumo. Situazione ormai insostenibile»

Condividi questo articolo su

«Situazione ormai insostenibile per i nostri agricoltori». Così chiude il discorso la Cia Umbria in merito ai danni causa dalla fauna selvatica, in particolar modo dai cinghiali: nel 2017 risultate idonee il 73% delle richieste pervenute, con spesa superiore a 650 mila euro.

I numeri del 2017

La Confederazione italiana agricoltori dà forza al messaggio citando i numeri completi del 2017 su dati della Regione Umbria: «Sono arrivate agli Atc 1, 2 e 3 dell’Umbria 1.321 richieste di indennizzo dagli agricoltori. Sono 525 Atc1, 415 Atc e 381 Atc3. Di queste, l’Atc 1 sostiene di averle ammesse tutte, mentre per quanto riguarda l’Atc 2 e l’Atc 3, sono state giudicate idonee al risarcimento e quindi liquidabili in base alla vigente normativa regionale L.R. 17/2009 e R.R. 5/2010, rispettivamente 277 (su 415) e 166 domande (su 381). In totale, a conti fatti, sono risultate idonee al risarcimento 968 richieste su 1.321, vale a dire solamente il 73%».

L’esborso

La Regione ha speso nel 2017 671 mila 279 euro: 330 mila per le domande arrivate all’Atc1, 161 mila 613 per l’Atc2 e 179 mila 619 per l’Atc3. «Basta fare un semplice calcolo – prosegue la Cia – per rendersi conto di quanto ogni agricoltore che ha visto andare in fumo il duro lavoro di un anno in pochi minuti percepisce come risarcimento: in media vengono versati appena 508 euro a domanda. Una situazione ridicola e inaccettabile, che sta portando i nostri agricoltori all’esasperazione e, in alcuni casi, perfino alla rinuncia della propria attività (i dati del 2018 sulle richieste di indennizzo sono in calo), con l’amara considerazione che in molti casi conviene più fermarsi che investire e ritrovarsi dopo tanto lavoro con poche briciole».

Le pratiche

C’è poi il problema legato all’iter burocratico per liquidare le pratiche: «È così farraginoso – puntualizza la Cia Umbria – che si arriva a perdere perfino due anni di lavoro prima di ottenere il dovuto e ricominciare. Come confermato dall’Atc1, infatti, gli indennizzi del 2017 sono stati totalmente liquidati solamente a settembre 2018. Facendo un esempio concreto: ad ottobre 2016 un agricoltore prepara il suo terreno per le colture, sostenendo i costi per l’acquisto della semente, della manodopera e dell’attrezzatura necessaria. In primavera-estate 2017 i cinghiali invadono il terreno e spazzano via il raccolto; l’agricoltore inoltra subito la richiesta di indennizzo (pagando € 90 solo per inviare la domanda) . Successivamente la pratica viene accolta, dopo il sopralluogo dell’agronomo, e viene mesa in stand-by per la liquidazione che arriverà solamente entro settembre 2018 (come nel caso dell’Atc1 per le domande del 2017). Ecco che sono passati ben 2 anni per l’agricoltore. Due stagioni di mancato guadagno che un risarcimento medio di appena 500 euro non può ammortizzare».

Il contenimento

I prelievi di contenimento nel 2018 per l’Atc1 sono stati 1.250, con numero di ungulati in aumento. «Appare evidente – le parole di Matteo Bartolini, presidente Cia Umbria – il conflitto di interessi della categoria. Non può più essere la stessa squadra di cacciatori della zona a gestire il contenimento. Dovremmo seguire le orme dell’Emilia-Romagna che ha deciso di assumere nuove figure di ‘coadiutori abilitati’, vale a dire cacciatori, per far fronte all’emergenza danni causati dagli ungulati. Mentre in Toscana, dopo il parere favorevole dell’Ispra, si è deciso di aprire la caccia al cinghiale tutto l’anno in quelle aree non vocate in cui viene posto l’obiettivo di raggiungere – conclude – e mantenere le popolazioni di cinghiale ad una densità tendente a zero, considerando l’elevata diffusione di coltivazioni agricole sensibili presenti. Non può più essere una battaglia tra cacciatori e agricoltori, ma un lavoro responsabile di vera crescita economica per tutti».

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli