Capanne, confronto direttrice – sindacati

Nel carcere di Perugia, dopo la conferenza del Sappe, gli impiegati si incrociano con Bernardina Di Mario nel bar della struttura

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di P.C.

«Forza, offritemi un caffè». La direttrice del carcere di Capanne, Bernardina Di Mario, con i giornalisti non parla, ma ci tiene a stabilire un contatto con gli agenti – che avevano appena terminato la conferenza stampa di protesta – con il canale di comunicazione più semplice e più universale per stabilire un punto di confronto con il proprio interlocutore: la tazzina di caffè.

TUTTI I PROBLEMI DEL CARCERE DI PERUGIA (INTERVISTE VIDEO)

Bernardina Di Mario direttrice Capanne confronto con agenti sindacato

La direttrice Di Mario

Arriverà una risposta La direttrice è minuta ma risponde a tono alle rimostranze degli agenti e sa tener testa al giornalista che insiste per un’intervista: «Non sono autorizzata a parlare con la stampa, aspetto il comunicato del sindacato, io risponderò punto per punto. I temi sono troppo complessi per spiegarli dettagliatamente in questo momento». I temi – messi sul tavolo dal sindacato Sappe, arrivato a Perugia con i vertici nazionali – sono quelli comuni a gran parte degli istituti nazionali: troppo lavoro, pochi soldi, organico sottodimensionato, organizzazione carente, tensione costante.

Sorveglianza dinamica Ma a Capanne c’è un elemento di contrasto in più: il carcere perugino è uno degli istituti in cui dal 2011 viene attuata la cosiddetta ‘sorveglianza dinamica’. In pratica, gli agenti non sono fisicamente nelle sezioni, ma le controllano a distanza, attraverso un monitor. E solo di tanto in tanto entrano in quella che è stata ribattezzata ‘sezione aperta’, per controllare da vicino ciò che accade.

conferenza sappe perugia carcere capanne

Un momento della conferenza

Incolumità a rischio Anche a causa di questa nuova modalità di controllo – secondo il Sappe – a Perugia si verificano così tanti momenti di tensione fra i detenuti (e fra detenuti e agenti): solo nell’ultima settimana due casi eclatanti. Nella giornata di martedì un gruppo di albanesi ha aggredito un detenuto del Camerun. E appena una settimana fa un agente è finito in ospedale dopo che un detenuto ha dato fuoco alla propria cella.

Mancano 80 agenti «A Perugia – spiega Fabrizio Bonino, delegato per l’Umbria – registriamo numerosi eventi critici: aggressioni, ferimenti, litigi, incendi. Una situazione non più tollerabile. Le nostre richieste sono di doppia natura: una al governo, cui chiediamo di reintegrare le 80 unità di personale che mancano a Perugia. Abbiamo un organico previsto di 297 (che già erano pochi) ad oggi addirittura ce ne sono 222. Il secondo problema è legato all’organizzazione del lavoro. Per controllare i detenuti di Perugia serve la sorveglianza statica».

Dati in Umbria Anche su base regionale i dati sono preoccupanti: gli ispettori sono 48 su 84 (il 57%), i sovrintendenti 55 su 89. I detenuti: 86 a Orvieto, 374 a Perugia, 480 a Spoleto, 430 a Terni, dove peraltro c’è il maggior numero di episodi critici: 123 atti di autolesionismo, 15 tentati suicidi, 31 colluttazioni, 26 ferimenti. Situazione leggermente migliore – ma comunque preoccupante – a Perugia, dove nel 2016 si sono registrati 49 atti di autolesionismo, 6 tentati suicidi, 24 colluttazioni, 18 ferimenti.

CAPECE (SAPPE): «CARCERI NON SIANO POSTRIBOLI» (VIDEO CONFERENZA)

Donato Capece Sappe

Il segretario nazionale Capece

«Meno straordinari, più agenti» «Assurdo che gli agenti siano quasi ‘costretti’ a fare lo straordinaria per non bloccare la macchina – tuona Donato Capece, segretario generale del sindacato – a noi non interessa lo straordinario, ci interessa piuttosto dare certezza dei diritti soggettivi al personale. E uno stipendio di base che sia all’altezza del lavoro che fanno: 1300 euro non sono sufficienti per chi rischia la vita quotidianamente. La collaborazione fra amministrazione e detenuti non esiste. È solo demagogia. Chi viola il patto dovrebbe passare dalla sezione aperta alle sezione chiusa. Ma ciò non avviene».

I problemi su base nazionale «Cambiare i nomi alle cose non serve a nulla: che la cella la chiami ‘camera di pernottamento’ in un altro modo poco cambia. Spero che il governo non ponga la fiducia sull’ordinamento penitenziario e sula riforma penale, altrimenti rasenteremmo il ridicolo. Basti pensare alla cosiddetta ‘affettività’: colloqui ‘speciali’ tra marito e moglie. Immaginate cosa diventerebbe il carcere. Molto meglio – secondo me – dare maggiori permessi, consentendo di uscire a chi lo merita davvero».

Bonino, Sappe Umbria

Lo sciopero bianco Da qui a breve il Sappe intende organizzare uno «sciopero bianco». Gli agenti di polizia penitenziaria per legge non possono scioperare in modo indiscriminato, pertanto la forma di protesta potrebbe essere quella di lavorare rispettando rigidamente le mansioni e gli orari previsti dal contratto di lavoro. Niente straordinari, niente mansioni diverse da quelle previste. «Vi faremo vedere che anche solo facendo così si bloccherà il carcere – assicura Bonino – voglio vedere poi come faranno».

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