Istanbul, giornalista di Terni racconta il golpe

Giovanna Loccatelli ha vissuto in prima persona il fallito colpo di stato: «Morte centinaia di persone ma dopo poche ore sembrava non fosse accaduto nulla»

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I drammatici momenti del colpo di stato tentato ad Istanbul dall’esercito, raccontati da Giovanna Loccatelli, giornalista freelance ternana che ha già vissuto (e raccontato) da vicino avvenimenti storici come, in Egitto, la rivoluzione del 2011 e il golpe del 2013. Nata e cresciuta a Terni, dove si è diplomata al liceo classico Tacito, Giovanna Loccatelli vive e lavora da tempo all’estero. Da circa un anno e mezzo, dopo la lunga parentesi egiziana, si trova nella capitale turca. Un punto di vista privilegiato, il suo, forte di un’esperienza ‘sul campo’ che l’ha portata a pubblicare volumi di respiro internazionale, anche sul rapporto fra eventi storici e social media.

L’inizio Si parte dai primi momenti, quando la voce del ‘putsch’ inizia a girare: «Ieri sera – racconta – ero a cena in una zona centrale di Istanbul, a non più di dieci minuti da piazza Taksim. Tutto sembra assolutamente normale, con la gente nei locali. Sono tornata a casa abbastanza presto e sul web ho letto che i militari avevano bloccato il ponte sul Bosforo che, di solito, il venerdì sera è gremito di auto che vanno dalla parte asiatica a quella europea e viceversa. Quando ho letto l’annuncio del golpe sono subito scesa in strada e le vie erano già vuote, con i militari che avevano annunciato il coprifuoco. Ho fatto un giro nella zona dove vivo e ho visto solo file di persone agli sportelli bancomat, intente a prelevare i propri risparmi».

Potere in bilico «A quel punto sono tornata a casa per seguire l’evolversi della situazione, anche attraverso i social che funzionavano a singhiozzo. Le immagini hanno tolto ogni dubbio sul fatto che fossimo davanti ad un colpo di stato e per un paio d’ore si è avuta la sensazione che i militari golpisti stessero prendendo possesso della città. In strada ho visto una fila di veicoli dell’esercito diretti verso piazza Taksim, seguiti da altrettanti mezzi dei vigili del fuoco. Dal centro si sentivano urla e voci della gente che stava raggiungendo la piazza».

Guerriglia urbana «Poi è arrivato l’appello del presidente Erdoğan che ha chiesto al popolo, contro il coprifuoco militare, di scendere in piazza e combattere contro i golpisti. E così è stato, anche se Istanbul è una metropoli di 18 milioni di abitanti e in strada c’è sceso chi si sentiva di rischiare la propria vita, i sostenitori più convinti. Di certo non la maggioranza della popolazione. C’è stata una reazione contro i militari, per lo più giovani e che hanno dato la sensazione di essere lì solo per dovere, per obbedienza verso i gradi militari superiori. La situazione si è presto trasformata in una vera e propria guerriglia urbana con tanto di linciaggi».

Il risveglio Il tentativo viene respinto e con il discusso Erdoğan ancora in sella, si apre a strada alla reazione. «Oggi ad Istanbul la situazione era surreale – racconta Giovanna Loccatelli -. Di prima mattina le strade erano quasi deserte ma poi già ad ora di pranzo i locali e i negozi hanno aperto di nuovo e si sono riempiti di persone, come se nulla fosse. La vita è ripresa molto velocemente, come chiesto dal presidente. Eppure appena poche ore prima si era consumato un tentativo di golpe che ha lasciato sul campo centinaia di morti. Ora Erdoğan ha ancora più potere di prima e credo che limiterà ulteriormente i pochi spazi di democrazia che ci sono, ricostruendo e plasmando le strutture politiche, giudiziarie, militari del paese in tempi brevissimi. Ci sarà ancora meno voce per le opposizioni e credo che riprenderà il comando totale mettendo persone nuove e fidatissime nei ruoli chiave».

La gente «Questa città, nonostante ciò che è accaduto, è in crescita anche dal punto di vista economico. C’è un’ampia parte di popolazione che non è soddisfatta delle politiche di Erdoğan ma che, al tempo stesso, non ha sostenuto l’azione militare, non riconoscendone la legittimità democratica. Se ho avuto l’impressione, in questi giorni, che stesse per accadere qualcosa di simile? No, affatto. La polizia in giro c’è ed è tanta, ma l’ho sempre associata al rischio attentati. E non parlo solo di quello accaduto all’aeroporto Ataturk meno di un mese fa: nell’ultimo anno ce ne sono stati sette in totale e quello è stato il più rilevante, anche dal punto di vista mediatico. Ma la sicurezza non può essere garantita solo aumentando le forze dell’ordine».

Erdogan Il controverso presidente turco, secondo Giovanna Loccatelli, ha ripreso in mano la situazione facendo perno anche sui valori nazionali: «Ha parlato alla ‘pancia’ della gente, invocando l’unità della nazione. E poi in aeroporto ha esibito quel simbolo, le quattro dita alzate al cielo, che in Medio Oriente riveste un’importanza assoluta. E’ il simbolo de Fratelli Musulmani, di chi in Egitto si era opposto al colpo di stato. Lui lo ha usato attribuendogli un significato più ampio, in quel modo Erdoğan ha detto alla nazione che lo stava guardando: ‘Voi siete il popolo turco unito’. Anche l’uso dei media, come facetime, le app per inviare il proprio video alla tv di stato, il richiamo al nemico, al leader religioso Fethullah Gulem che avrebbe ideato il colpe, tutti questi aspetti hanno rappresentato una strategia comunicativa assolutamente vincente e che ha contributo a far pendere l’ago della bilancia dalla parte del presidente».

 

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