«La piccola Noemi può essere curata in Italia»

Susanna Esposito motiva così la sua decisione: «Nel nostro paese ci sono centri di eccellenza analoghi a quello di Houston, ingiustificata una spesa così a carico del servizio sanitario»

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Il caso della piccola Noemi sta scuotendo le coscienze e ponendo grandi interrogativi. Da un lato lo strazio di una madre, che vede la propria bambina combattere ogni giorno contro un destino beffardo e vuole fare di tutto per aiutarla, senza lasciare nulla di intentato. Dall’altro le istituzioni e la burocrazia, con le loro regole, che servono a tutelare tutti i cittadini, senza preferenze, con il fine ultimo di fornire prestazioni sanitarie efficaci ed efficienti. In mezzo c’è chi deve prendere decisioni, dicendo sì o no, secondo le regole e secondo la propria coscienza. In mezzo, in questo caso, c’è la professoressa Susanna Esposito, primario di pediatria dell’ospedale di Perugia e responsabile centro regionale di riferimento che, suo malgrado, ha detto no. E ora spiega perché.

IL CASO DELLA PICCOLA NOEMI RACCONTATO DA UMBRIAON

La professoressa Susanna Esposito

Vicinanza «Sono vicina alla madre di Noemi, posso immaginare come si senta un genitore nelle sue condizioni – afferma Susanna Esposito -. Ma è importante evitare di farsi travolgere dall’emotività della situazione, che poi può dar vita a conseguenze spiacevoli. Ci sono persone sul web che si lasciano andare a commenti irripetibili. Sono delusa e amareggiata da questi comportamenti perché cerco sempre di fare del mio meglio nell’affrontare le richieste di salute dei bambini e delle famiglie che chiedono assistenza nella Clinica Pediatrica che dirigo. Peraltro, la stessa Noemi pochi mesi fa è stata ricoverata nel reparto da me diretto e la sua mamma ha potuto osservare l’attenzione che tutti i miei collaboratori – medici e infermieri – hanno per le cure al bambino disabile».

Le ragioni «Mi sarei aspettata che la soluzione da me prospettata, cioè quella di avere identificato ad Assisi e a Siena delle strutture che possono fornire un’assistenza adeguatamente qualificata sovrapponibile a quella che viene assicurata nei Centri all’estero, potesse rendere felice Noemi e la sua mamma, che mi sono sembrate molto radicate nel territorio umbro. Favorire l’accesso alle cure in strutture altamente qualificate, collocate a poca distanza dall’abitazione di Noemi, con esperienza documentata sulla sindrome di Rett e con attrezzature riabilitative all’avanguardia permetterà a Noemi di essere seguita in modo continuativo per l’intero anno, non solo per 5 mesi, con il conforto della famiglia e dei suoi cari».

«Costi legati al soggiorno» «Le spese sostenute finora erano in gran parte legate ai costi del soggiorno negli Stati Uniti, l’intervento di fisioterapia era effettuato solo per un’ora al giorno per quattro giorni alla settimana con metodologie disponibili anche nel nostro paese. Per una bambina come Noemi è essenziale la continuità e l’inserimento anche scolastico che le cure vicino a casa possono garantire».

«Madre mal consigliata» «In Italia ci sono alcune decine di bambini con sindrome di Rett (l’incidenza è di uno su 10 mila) e, come per la gran parte delle malattie rare, sono stati identificati Centri di riferimento sul territorio nazionale per la presa in carico clinica e per la fisioterapia. Altri bambini dell’Umbria con la stessa malattia e i bambini con sindrome di Rett dell’Italia intera sono presi in carico in questi centri. Non capisco come mai la mamma di Noemi rifiuti categoricamente che la figlia sia valutata in queste strutture. Forse in passato è stata mal consigliata e nessuno le ha dimostrato che esistono in Italia più Centri adeguati alla presa in carico di Noemi, con il vantaggio della continuità delle cure sull’intero anno e della elevata qualità».

«Soluzione più logica» «La mamma di Noemi ha pubblicato sul web alcune foto di lei con la bambina in cui sottolineava il problema dell’assenza di rimborso dalla Usl per le cure della piccola e sono state pubblicate sue interviste in cui ha dichiarato che la spesa per le cure in Texas prevedeva oltre ai 50 mila euro di rimborso regionale, altri 10/20 mila euro raccolti con il supporto degli amici. Il costo mensile dell’apportamento in cui soggiornavano Noemi e sua mamma a Houston era variabile dai 3.800 ai 5.200 dollari al mese, una cifra ampiamente superiore a quello che è lo stipendio mensile medio di gran parte degli italiani. Spese di questo tipo sono immediatamente evitate curando un paziente vicino a casa e, oltre tutto, la vicinanza a casa non si associa al disagio del non potere frequentare per lunghi mesi parenti e amici».

«All’estero, ma non a carico della Usl» «Spero, quindi, di avere fatto chiarezza su una spiacevole situazione che non trova logica di esistere – conclude la professoressa Esposito -, non solo per il costo, comunque significativo, ma anche per l’appropriatezza delle cure che, in Umbria o nelle Regioni limitrofe, garantiranno a Noemi il supporto socio-sanitario di cui ha bisogno. D’altra parte, se la mamma di Noemi si rifiuta di fare seguire la bambina nei centri specializzati in Italia per la sindrome di Rett, nessuno le impedisce di andare a Houston ma non può pensare che una simile scelta avvenga a spese del sistema sanitario regionale. Spero che le famiglie del nostro paese e in particolare dell’Umbria apprezzino la serietà con cui affronto nella loro complessità le problematiche cliniche dei bambini e delle loro famiglie, rispondendo a bisogni di salute con soluzioni efficaci e appropriate».

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