Lavoro in Umbria: «Altra doccia fredda»

Cgil e Ires: «Nell’ultimo trimestre 2016 il saldo tra persone che hanno attivato un rapporto di lavoro e quelle che lo hanno cessato è negativo per quasi 10 mila unità»

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di Giuliana Renelli, della segreteria regionale della Cgil Umbria
e Mario Bravi, presidente di Ires Cgil Umbria

Nell’ultimo trimestre 2016 il saldo tra persone che hanno attivato un rapporto di lavoro e quelle che lo hanno cessato è negativo per quasi 10 mila unità.

I dati recenti dell’Inps (Osservatorio Nazionale sul Precariato) ci hanno confermato che il lavoro che esiste (o resiste) in Umbria è sempre più precario e senza tutele, infatti, nei primi 2 mesi del 2017 solo 934 delle attivazioni effettuate (6.216 in totale) sono state a tempo indeterminato.

C’è un altro dato però, elaborato dal Ministero del Lavoro, che desta ulteriore preoccupazione: nel corso del IV trimestre 2016 in Umbria sono stati attivati 32.555 rapporti di lavoro, che corrispondono (e qui sta l’elemento in più rispetto ai dati Inps) a 23.435 persone fisiche che hanno attivato almeno un rapporto. Ebbene, il confronto con lo stesso periodo del 2015 è a dir poco impietoso: se infatti, a livello di rapporti di lavoro attivati si è registrato un preoccupante – 6,1% (dato comunque inferiore alla media nazionale, -7,2%), a livello di persone fisiche che hanno avviato un rapporto di lavoro la flessione sale ad un -10,1%, dato che supera di oltre un punto percentuale la media nazionale (-9%).

Nello stesso periodo, le cessazioni sono state 41.943 in Umbria per quanto riguarda i rapporti di lavoro, mentre le persone che hanno visto cessare il proprio rapporto di lavoro sono state 32.171.

Basta un semplice calcolo, dunque, per capire quanto lavoro sia andato bruciato nel corso del 2016: la differenza tra lavoratori entrati in nuovi rapporti e quelli che ne hanno invece visto la cessazione sfiora le 10mila unità in negativo (-9.736 unità per l’esattezza).

Questo spiega il dato sull’aumento degli inattivi e il calo degli occupati nella nostra regione e mette in evidenza, come sottolineato più volte dalla Cgil, la necessità di politiche per lo sviluppo e di investimenti che possano generare buona e stabile occupazione.

 

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