Morte Aldo Bianzino: «Riaprire l’indagine»

Il figlio del falegname morto nel 2007 nel carcere di Capanne annuncia che chiederà alla procura di valutare di nuovo l’ipotesi di omicidio volontario: «Elementi mai emersi»

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Una morte, quella del falegname umbro Aldo Bianzino, su cui i familiari – ed in particolare il figlio Rudra – continuano a chiedere giustizia. Perché per loro non è stato solo un ‘malore’ – con omissione di soccorso e relativa condanna definitiva ad un anno di un agente penitenziario – ma qualcosa di ben più grave a causare la morte del loro caro.

La tragedia risale al 14 ottobre del 2007, nel carcere di Perugia-Capanne, dove Bianzino – che viveva in campagna, nella zona di Città di Castello – era stato portato due giorni prima, dopo che gli avevano trovato in casa alcune piante di canapa indiana. Le indagini hanno sempre escluso l’omicidio, riconoscendo nell’emorragia cerebrale la causa del decesso. Ma i familiari, partendo dagli ematomi cerebrali, dai danni al fegato, alla milza e dalle fratture alle costole riscontrate dai medici legali, sostengono che sia andata molto diversamente da come l’autorità giudiziaria ha sin qui stabilito.

«Riaprire l’indagine» «Ok, è arrivato il momento – scrive Rudra Bianzino su Facebook -. In queste ore i miei legali stanno lavorando alla richiesta di riapertura del procedimento per omicidio volontario a carico di ignoti, per quanto riguarda la vicenda di mio padre, morto dopo nemmeno 48 ore di carcere il 14 ottobre del 2007. La richiesta in questione verrà presentata sulla scorta di importantissime analisi e rivelazioni medico legali che mettono a dir poco in discussione la verità processuale emersa sino ad oggi riguardo alle cause della morte di mio padre».

«Nuovi elementi» «Le relazioni – spiega il figlio del falegname deceduto – sono state redatte da esperti che, esaminati tutti i fatti, i reperti, e le vicende processuali susseguitesi sino ad ora, hanno ritenuto di accettare l’incarico da me proposto, volto alla richiesta di riapertura del fascicolo per omicidio ad oggi archiviato in virtù delle evenienze all’epoca acquisite, ma ad oggi superate. A dieci anni dall’accaduto è arrivato il momento di chiedere con tutta la mia forza che venga fatta veramente verità e giustizia. Chedo a tutte le persone che leggeranno queste parole di unirsi alla mia voce, in maniera tale che non sia più solo un urlo perso nel vuoto di un ragazzo rimasto solo, ma un coro composto da tutta la società civile, dove l’interlocutore non potrà che prendere atto della voglia di verità e giustizia di una moltitudine di persone».

La battaglia va avanti «Un ringraziamento particolare – conclude Rudra Bianzino – va ad i miei legali, gli avvocati Massimo Zaganelli e Cinzia Corbelli, ed ai consulenti medico legali Luigi Gaetti e Antonio Scalzo, per avermi dato la possibilità di proseguire in una battaglia importantissima per me e per tutte quelle persone che pretendono di vivere in uno Stato dove di carcere non si debba più morire».

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