Ndrangheta a Perugia sì alla commissione, ma Arcudi non lascia

Romizi per ora difende il presidente (che si commuove) e accoglie la proposta di una commissione, ma aggiunge: «Va difesa l’istituzione». Bistocchi: «Mozione di sfiducia se non si dimette». Pici temporeggia

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Le questioni sono due. Da un lato c’è l’aspetto giudiziario, in cui Nilo Arcudi non è coinvolto né come indagato né come parte attiva in qualche intercettazione: non si sente la sua voce, ma sono altri a parlare di lui. Dall’altro lato c’è l’aspetto politico, di opportunità, che prevederebbe una cautela anche di immagine, con l’obiettivo di tener lontano dalle istituzioni pubbliche anche il seppur minimo sospetto. In mezzo, a spingere verso l’una o l’altra chiave di lettura, ci sono le opportunità politiche e i giochi di potere, interni alla maggioranza e fra la maggioranza e l’opposizione. E il consiglio comunale svolto lunedì pomeriggio a Perugia non ha sciolto le riserve: per il momento il presidente Arcudi resta al suo posto. Concessa solo l’istituzione di una commissione consiliare sulle infiltrazioni.

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Il consiglio comunale

All’ordine del giorno c’era tutt’altro, ma era inevitabile che, dopo l’inchiesta della magistratura calabrese sulle infiltrazioni della Ndrangheta in Umbria – e a Perugia in particolare – e soprattutto dopo che dalle intercettazioni è spuntato fuori il nome del presidente del consiglio comunale Nilo Arcudi (citato da alcuni indagati come candidato su cui far confluire il consenso), l’assemblea civica si concentrasse soprattutto su questo aspetto. Confermate le posizioni della vigilia, con l’opposizione – Pd in primis – a chiedere che Arcudi facesse un passo indietro e la maggioranza compatta (o quasi) a difendere il presidente. Eccezion fatta per Massimo Pici, che aveva già fatto sapere di volere le dimissioni del presidente, concetto ribadito anche a margine dell’incontro, davanti ai microfoni dei giornalisti presenti. E Sarah Bistocchi a umbriaOn dice: «Aspetteremo, ma è già pronta la mozione di sfiducia».

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Commissione consiliare sulle infiltrazioni

In apertura è stato proprio il sindaco Andrea Romizi a intervenire. Anche lui è stato infatti chiamato in causa nelle intercettazioni: gli indagati dicono che hanno cenato con lui, ma lui, anche in aula, smentisce, ricordando fra l’altro che nelle decine e decine di appuntamenti pubblici non può certo chiedere la fedina penale a tutti gli intervenuti. Romizi ha difeso Arcudi e in generale l’attività della sua amministrazione, ricordando quanto fatto contro le mafie, a cominciare dalla costituzione parte civile in ‘Quarto passo’. E ha preannunciato che l’amministrazione appoggerà la richiesta di istituzione di una commissione speciale di inchiesta sulle infiltrazioni mafiose, come quella già attivata in Regione.

L’intervento di Romizi

«Non posso oggi nascondere l’amarezza vissuta in questi giorni, anche solo nel leggere, in alcuni giornali, il mio nome in quanto in una intercettazione uno dei dialoganti, che tra l’altro risulterebbe non essere indagato, avrebbe affermato di aver ‘mangiato insieme al sindaco’, parrebbe per ragionare di ipotetiche alleanze con il movimento politico Casapound. La circostanza assolutamente non corrisponde al vero. Ignoro chi siano i soggetti che parlano nella telefonata oggetto di captazione. L’unico confronto avuto con la lista Casapound, così come con numerosi altri soggetti politici candidatisi nella scorsa tornata elettorale, è avvenuto a ridosso delle elezioni e nello specifico è intercorso con Antonio Ribecco, colui che si è poi presentato come candidato sindaco nella medesima lista. E, aggiungo, a lui manifestai la mia indisponibilità ad un collegamento con la lista di Casapound. Evidenzio, in ogni caso che, per le funzioni che svolgiamo, siamo tutti esposti a maggiori rischi di – pur inconsapevole – ‘contatto’ con persone di cui ignoriamo il profilo e la storia personale. Vi consegno un dato: nel 2018 risulta che io abbia avuto 1810 appuntamenti, oltre 70 pranzi istituzionali, 510 tra cene, eventi, matrimoni e sagre».

«È altresì da evidenziare che gli interessati hanno nell’immediatezza smentito di avere avuto alcun rapporto con detti soggetti e che peraltro agli stessi non è stata contestata alcuna ipotesi di reato. In parte della stampa si riporta inoltre il fatto che le autorità inquirenti sentite in merito avrebbero escluso un ruolo attivo dei politici chiamati in causa. Ad ogni modo, in attesa dei futuri sviluppi dell’inchiesta e di poter acquisire ulteriori elementi di conoscenza, va affermata la assoluta necessità e doverosità da parte di questo consiglio comunale e dell’amministrazione tutta di attivarsi nelle forme più consone e adeguate, con tutto il rigore che è d’obbligo, onde garantire che l’integrità dell’Istituzione non possa neanche minimamente venire intaccata».

«Sia chiaro però: la situazione emersa dalle inchieste non è il problema di alcuni o di una parte politica, è il problema di una comunità intera, cittadina e regionale. Comprendo come sia prioritario affrontare questioni che attengono a questo organo politico. Ciò non ci distolga però dal farci carico dell’imprenditore che non ha potuto lavorare ad Ellera. Il malaffare, la penetrazione malavitosa toglie la libertà, violenta l’economia, annichilisce la speranza. Per decenni siamo stati e ci siamo pensati come l’Umbria verde, caratterizzata dalla bellezza del paesaggio e da una storia gloriosa. Oggi ci scopriamo diversi, dobbiamo adattarci ad una realtà più complessa e a battaglie che prima pensavamo appartenessero solo ad altri. Urge una forte presa di coscienza e una nuova consapevolezza. Ciascuno di noi, nel proprio ruolo, può e deve svolgere una parte importante nel contrasto a quella pericolosa mentalità che favorisce l’avanzamento della criminalità nelle sue varie forme. Ciascuno di noi ha una parte che lo riguarda in questa doverosa lotta alla malavita e alla mentalità mafiosa. Non sottraiamoci a questo compito, è la battaglia di una comunità intera, è la battaglia di questa comunità perugina».

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